Trascorse tra servizi segreti, guerriglieri afgani o sudamericani e signori della guerra africani, la vita e la carriera di Vicktor Bout sono l’ispirazione perfetta per un film. L’ultima scena tre giorni fa nell’aula della corte federale di New York, dove il trafficante d’armi russo è stato condannato a 25 anni di carcere e a una multa di 15 milioni di dollari per aver negoziato la vendita di armamenti alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), cospirando per uccidere cittadini statunitensi. “Non volevo uccidere nessuno. E’ la verità. Dio la sa, e anche tutta questa gente lo sa. Che Dio vi possa perdonare perché dovrete rispondere a Lui, non a me”, ha detto Bout al giudice Shira Scheindlin che ha comminato all’imputato il minimo della pena prevista.
La carriera di Bout si era conclusa nel 2008, quando l’ex ufficiale dell’aviazione sovietica, le cui gesta ispirano la pellicola Lord of War con Nicolas Cage, fu arrestato in Thailandia in un’azione sotto copertura della Dea, la Drug Enforcemnt Administration. Secondo l’accusa il trafficante stava trattando la vendita di 100 sistemi missilistici antiaerei trasportabili a spalla e di 5mila fucili d’assalto Ak-47 alle Farc, gruppo finanziato con il narcotraffico il che spiega il coinvolgimento della Dea.
I due anni successivi furono caratterizzati dal braccio di ferro tra russi e statunitensi sull’estradizione negli Usa del trafficante, concessa dal governo di Bangkok a novembre del 2010. La condanna a 25 anni ha scatenato le reazioni di Mosca, che giudica infondata la sentenza ed è pronta a dare battaglia per riportarlo in Russia. “Il verdetto è stato pronunciato, ma noi non consideriamo la questione chiusa e sosterremo gli avvocati della difesa se proporranno appello”, ha detto all’agenzia Itar-Tass,il commissario per i diritti umani del ministero degli Esteri russo, Konstantin Dolgov. Le accuse sono basate su speculazioni della giustizia statunitense. Il sistema giudiziario guidato evidentemente da un ordine politico, ha ignorato gli argomenti della difesa”. Argomenti secondo cui il vero oggetto della trattativa non erano le armi, bensì gli aerei.
Nato a Dushanbe in Tajikistan nel 1967, vegetariano e poliglotta, Bout ricevette addestramento nel Gru, il servizio segreto militare sovietico. La dissoluzione dell’Unione sovietica e le conoscenze tra le alte sfere dell’esercito gli diedero accesso agli arsenali dell’ex Urss e dei Paesi dell’est europeo. Iniziò così nel 1992 la sua carriera nel mondo degli affari con rifornimenti a diverse milizie afgane per un valore di 50 milioni di dollari (37 milioni di euro).
Altro mercato fruttuoso per il trafficante russo fu quello africano. Tra i suoi clienti migliori figura il dittatore liberiano Charles Taylor, attualmente sotto processo alla corte dell’Aia per crimini contro l’umanità. E’ inoltre accusato di aver armato entrambi gli schieramenti nella guerra civile in Angola e di aver fornito i signori della guerra nella Repubblica Centro Africana e nella Repubblica democratica del Congo.
Parallelamente costituì un impero economico legale nel settore dell’aviazione civile arrivando ad avere una flotta di 60 aerei – soprattutto Tupolev, Antonov e Ilyushin – per il trasporto di persone e merci registrate sotto una dozzina di società internazionali. Gli aerei sarebbero l’unico legame con il traffico d’armi, trasportate nei carghi, ma della cui vendita o acquisto Bout ha sempre detto di essere estraneo. Della flotta, per sua stessa ammissione, si sarebbero serviti anche Nazioni Unite e Francia per trasportare uomini e aiuti nel Ruanda post-genocidio.
Per l’avvocato Albert Dayan, il caso sarebbe stato montato ad arte per coprire le rivelazioni sul sostegno dato dalle compagnie di Bout agli Usa per trasportare forniture, cibo e altro materiale per le compagnie di contractor che lavoravano in Iraq per il governo statunitense. Commesse che violavano le sanzioni imposte dall’Onu contro Bout già nel 2001 per la reputazione di famigerato trafficante d’armi che nel 2007 gli costerà il soprannome di “mercante della morte”, dal titolo di un libro d’inchiesta dei giornalisti Douglas Farah e Stephen Braun.
Nel 2004 il dipartimento del Tesoro impose delle sanzioni proprie in relazione ai presunti rifornimenti di armi ai talebani e ai milizia legati alla galassia di al Qaeda. Circostanza smentita da Bout in un’intervista all’emittente Channel 4 nel 2009. Soltanto nel 2007 iniziarono le indagini sul suo conto, “perché considerato una minaccia per gli Stati Uniti e per la comunità internazionale”. La condanna di tre giorni fa si riferisce però esclusivamente al presunto accordo con le Farc. Tuttavia, si legge nei documenti dell’accusa “sebbene Bout voglia farsi passare per un semplice imprenditore è in realtà un uomo d’affari tra i più pericolosi, capace di trasformare i propri clienti da ideologi intolleranti a criminali letali”.
di Andrea Pira