Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi. E il premier Monti, che, da quando partì per l’Asia, domenica 25 marzo, trascorre più tempo all’estero che in Italia –rientrato a Roma il 2 aprile, ne è ripartito il 7-, è andato a passare la Pasqua in Medio Oriente, tra Libano, i Territori, Israele e, oggi, Egitto. Una missione, diversamente da quella asiatica, che s’iscrive fra gli impegni standard, quasi gli atti dovuti d’un premier italiano; e svolta –si noti- senza perdere un giorno di lavoro in Italia, perché, qui, si sa, dal Venerdì Santo a Pasquetta, non succede proprio nulla, a parte il ‘sorpasso’ (ma quella è un’altra pagina).
E Monti, un po’ statista e un po’ turista, con l’ “emozione molto intensa” –sua e della moglie- al Santo Sepolcro, dice, anzi spesso legge, cose un po’ scontate ma ‘giuste’, senza sbavature. Garantisce che l’Italia manterrà l’impegno nella forza di pace in Libano, l’Unifil, anche –spiega- per consolidare la propria credibilità in Europa e nel Mondo. Ricorda ai palestinesi che l’Italia è favorevole al superamento del conflitto con la soluzione, da raggiungere negoziando, dei due Stati indipendenti, Israele e la Palestina, ciascuno sicuro all’interno dei propri confini, che sono quelli degli accordi del ’67 –e, comunque, si ancora prudentemente alla posizione dell’Ue-. Definisce “legittimi” i timori israeliani per i programmi nucleari dell’Iran. E testimonia l’impegno dell’Italia contro l’anti-semitismo, con la visita “commovente e sconvolgente” allo Yad Vashem, il memoriale delle vittime dell’Olocausto.
Tutte cose magari ovvie, ma mai inopportune e magari utili da ribadire, senza scoprire le carte e senza passi falsi né affermazioni ‘sbilanciate’: una missione per ricordare chi siamo e che ci siamo, sempre con un occhio agli interessi economici e commerciali (la fornitura a Israele di velivoli d’addestramento della Alenia – Aermacchi farà fare “un salto di qualità” ai rapporti fra i due Paesi – addirittura? -); non certo una missione per risolvere i problemi della Regione, che, ad essere onesti, nessuno è in grado di risolvere oggi e che, nella migliore delle ipotesi, resteranno congelati fino alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti il 6 novembre (e non c’è nessuna certezza che dopo si sblocchino).
Certo, oggi, lì, in Medio Oriente, l’attenzione è puntata soprattutto sulla Siria, dove è ormai prossimo il ‘D-Day’ del piano di pace dell’Onu avallato dalla Lega araba, ma dove le cronache, sia pure di parte e spesso né verificate né verificabili, non segnalano un’attenuazione della violenza. Se è stata calma in quella che in questi giorni soprattutto i media chiamano Terra Santa, la Pasqua è stata insanguinata altrove: mentre il Papa esprimeva sostegno ai cristiani d’Africa, specie in Nigeria e nel Malì, e implorava “basta sangue” in Siria, una bomba vicino a una chiesa di Kaduna, nel Nord della Nigeria, faceva una ventina di morti e decine di feriti e in Siria le vittime dell’ultima settimana di proteste e repressioni superavano le mille.
Ma sull’agenda del Professore non possono starci i mali del Mondo. Quelli dell’Italia la riempiono già: torna a casa, Mario!; e, per un po’, restaci.