Marco Marsili, portavoce e ideatore del Pirateparty in versione tricolore, ha annunciato liste e candidati. Ma il Partito pirata italiano non ci sta: un'ordinanza del tribunale di Milano ha inibito ai rivali l'uso del nome e del simbolo della vela
Pirati all’arrembaggio dei piccoli comuni. Ma con polemica. Alle prossime amministrative si presenta il Pirateparty: il teschio sopra due sciabole incrociate e la vela rigonfia di vento compariranno sulle schede elettorali in una ventina di paesi, tra Lombardia e Piemonte. Ma il Partito pirata italiano, un’associazione attiva già dal 2006, non ci sta: i veri pirati siamo noi, fanno sapere, forti di un’ordinanza del tribunale di Milano che ha inibito ai rivali l’uso del nome e del simbolo della vela.
Marco Marsili, portavoce e ideatore del Pirateparty, non ha però nessuna intenzione di tirarsi indietro. Annuncia ricorso e garantisce che alle elezioni il suo partito ci sarà. Primo punto del programma? L’abolizione dell’Imu: “Una tassa ingiusta e iniqua”, la definisce. “Nei comuni amministrati da noi – aggiunge – convocheremo i cittadini una volta all’anno per chiedere loro come spendere l’avanzo di cassa. Perché un avanzo di cassa deve rimanere”. Niente sperpero di denaro pubblico, quindi. Insieme a qualche tematica anti-casta, visto che “le ingenti risorse che vanno ai partiti non bastano mai e la corruzione diminuisce la qualità della vita dei cittadini”.
Per Marsili non è la prima esperienza elettorale: giornalista e direttore del quotidiano online La Voce d’Italia, alle regionali del 2005 è stato candidato alla presidenza della Lombardia per i Liberaldemocratici. Che non sia un neofita della politica lo dimostra poi il ruolo ricoperto l’anno scorso per l’assessore regionale allo Sport, la leghista Monica Rizzi. Dieci giorni da responsabile comunicazione, poi il licenziamento in tronco per avere curato la pubblicazione del libro Onorevole Bunga Bunga – Berlusconi, Ruby e le notti a luci rose di Arcore. Una vicenda a cui è seguita la denuncia di Marsili alla Procura di Brescia sulle presunte attività di dossieraggio della Rizzi contro i nemici di Renzo Bossi interni al Carroccio.
Ora, la sua sfida, Marsili la lancia proprio in aree a forte presenza leghista. “Abbiamo notato molto interesse nel varesotto e nella zona di confine con la Svizzera”, spiega. A Pino sulla Sponda del Lago Maggiore (Varese), il candidato sindaco sarà suo padre Alessandro. Mentre a Brienno, nel comasco, si presenterà lui stesso: “Ne farò la Portofino del Lago di Como”, promette. A Paspardo, invece, il Pirateparty è stato escluso: la candidata sindaco Annelisa Zaccheria aveva lo stesso nome e la stessa data di nascita di una designer milanese, che però è caduta dalle nuvole quando è venuta a sapere delle sue ambizioni nel paesino in provincia di Brescia. “Non ho fatto io quella lista – taglia corto Marsili – C’è stato un errore materiale”.
Per il Pirateparty, garantisce il portavoce, le amministrative sono un test in vista delle prossime politiche. Qui il programma si allargherà a tematiche di respiro più nazionale, come l’abolizione del quorum nei referendum e l’abolizione di province e regioni. Nessuna riforma del copyright, però. Eppure questo è un passaggio obbligato per i partiti pirati europei, che nel 2009 hanno portato due deputati svedesi all’Europarlamento e l’anno scorso hanno ottenuto l’8,9 per cento dei voti a Berlino. Da qui l’accusa a Marsili di non essere un vero pirata, di non condividere le linee guida della rete internazionale e di volere solo sfruttare un’immagine che va di moda. Il Partito pirata italiano ha vinto il primo round al tribunale di Milano: dieci giorni fa il giudice Pierluigi Perrotti ha stabilito con un’ordinanza che Marsili, non possa più usare il nome Pirateparty e simili, poiché “è verosimile che la ricorrente (il Partito pirata, ndr) stia subendo una indebita utilizzazione del proprio nome e, più in generale, una lesione della propria identità personale”.
Marsili, per il momento, se ne infischia. Ammette che il simbolo dei pirati è un brand con appeal e spiega la scelta del nome: “I politici sono i banditi che fanno il sacco dello Stato. Noi adesso vogliamo diventare i pirati, per andare all’assalto del Parlamento“. Poi ribadisce l’originalità del suo movimento: “Il Pirateparty fa politica. Il Partito pirata, invece, non si è mai presentato alle elezioni”. In realtà avrebbero voluto esserci anche loro alle amministrative, ma non sono arrivati preparati all’appuntamento. Spiega Athos Gualazzi, rappresentante legale del Partito pirata: “Nei mesi scorsi ci siamo concentrati sulla modifica dello statuto, che ha portato alla nascita di un’assemblea permanente e alla realizzazione di una forma di democrazia diretta”. Grazie alla piattaforma online Liquidfeedback tutti i pirati ora possono confrontarsi sulla definizione di regolamenti e programmi politici. “Una volta terminato questo processo, usciremo in pubblico per presentarci alle prossime politiche”. Il Pirateparty è avvisato: la sfida elettorale è solo rinviata.
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