No, non sto esagerando: basta fare un giro su Twitter, quella specie di bar virtuale in cui le persone parlano tra loro in modo del tutto sconnesso, ma dove tutto rimane scritto e tracciabile, nero su bianco.
Cercando la parola “ciclisti”, si può andare a sbirciare cosa pensano i twittari di chi va in bicicletta e i tweet di odio sono tutti lì, pronti ad essere letti (vedi immagine).
Il motivo di questo odio ce lo svela il Giornale.it che qualche giorno fa, per presentare il parere favorevole dato dal Ministero delle Infrastrutture alla possibilità di circolare in controsenso su alcune strade, ha aperto l’articolo con queste parole: “Una decisione che farà sicuramente discutere. Perché, si sa, tra i pedoni e gli automobilisti sono molti quelli che non sopportano i ciclisti, spregiudicati e incuranti del codice della strada.”.
Sembra quasi che l’Italiano medio sia un esempio di virtù, bontà e altruismo, un paladino del rispetto della legalità, ma che, non appena inforcata la bicicletta, diventi uno sporco opportunista, un menefreghista anarcoide e con tendenze suicide. È la bici, quindi, che trasforma l’individuo rendendolo carnefice dei diritti altrui.
La cosa davvero spaventosa è il riproporsi di alcune logiche che sembrano essere state prese in prestito dai manifesti per la difesa della razza del secolo scorso, quando si sosteneva che gli ebrei sono dei parassiti, i negri sono stupidi, etc. Solo che in questo caso l’odio non è indirizzato verso il “diverso” in quanto appartenente ad una religione o razza differente, ma in quanto utilizzatore di uno strumento comune a tutta la popolazione e che, soprattutto durante l’infanzia, è stato fonte di gioie immense per tutti.
Ma non sono solo la pubblica piazza di Twitter o il Giornale a lasciar trapelare un risentimento nei confronti dei ciclisti, anche il Corriere.it ci mette del suo: sulla recente pronuncia da parte del Ministero dei Trasporti in merito alla possibilità per i ciclisti di procedere in controsenso esclusivamente su “su strade larghe almeno 4,25 metri, in zone con limite di 30 km/h, nelle zone a traffico limitato e in assenza di traffico”, il Corriere.it lancia un sondaggio con una domanda ingannevole “Le biciclette potranno viaggiare nei due sensi in qualunque strada: siete d’accordo?” Ovviamente a questa domande la stragrande maggioranza dei votanti dice NO.
In seguito alle proteste della Fiab, il Corriere riformula la domanda in “Le biciclette potranno viaggiare nei due sensi in alcune strade: siete d’accordo?”, ma intanto è già pronto l’articolo dove si dice che “il 71.7 per cento dei lettori di Corriere.it rimane perplesso”. Grazie alla riformulazione della domanda, in breve tempo il risultato del sondaggio cambia in un testa a testa tra favorevoli e contrari, ma a questo punto non interessa più a nessuno: è già stato dimostrato che il popolo del televoto ritiene impopolare la decisione del ministero.
Mala fede? Non lo so, ma per quanto io mi sforzi di capire, vi assicuro che non ci riesco: nel nostro paese invece di incentivare l’uso di mezzi di trasporto che non inquinano, non fanno rumore e non occupano il preziosismo spazio nelle nostre città, si cerca di criminalizzare chi cerca di rendere le nostre città più fruibili per tutti. È evidente che c’è un problema culturale che deve essere risolto.
Per risolverlo è in corso una campagna che si chiama #salvaiciclisti.
Il 28 aprile ai Fori Imperiali a Roma si terrà una manifestazione con cui chiediamo città a misura d’uomo.
Chi ci sarà avrà l’opportunità di poter raccontare un giorno di aver partecipato all’evento che ha modificato per sempre la mobilità italiana. Chi non ci sarà corre il rischio di non vedere nessun cambiamento e di continuare a maledire il traffico, le polveri sottili e la maleducazione di chi non ha altra scelta che usare l’automobile per muoversi in città.
Io a Roma ci sarò, insieme a tanti altri.
E voi?