A Bergamo la serata "dell'orgoglio leghista". Dalla platea "scontro" di cori tra i sostenitori dei due leader. L'ex ministro dell'Interno promette "pulizia", il Senatùr fa autocritica sui figli in politica, ma si prende un bel po' di fischi. Invocata l'unità per l'obiettivo dell'indipendenza della Padania
Mentre Umberto Bossi, intervenuto dopo l’ex ministro, evoca trame oscure: “Ovvio che siamo vittime di una specie di un complotto”, afferma. E a manifestazione conclusa preciserà ai giornalisti: il tesoriere Francesco Belsito, ora indagato da tre procure per riciclaggio, appropriazione indebita e altri reati, “è stato infilato dall’intelligence” negli uffici della Lega. E all’obiezione che il ministro dell’Interno all’epoca fosse proprio Maroni, il presidente del Carroccio aggiunge: “I servizi fanno capo alla presidenza del consiglio non al ministero dell’interno”. Bossi teorizza complotti, ma sul palco dell’Orgoglio leghista recita un esplicito mea culpa sul ruolo dei sui familiari nello scandalo che ha squassato il partito: “I danni sono stati fatti da persone che portano il mio cognome, e questo mi dispiace molto”, afferma chiedendo scusa ai suoi militanti.
A proposito dell’attesa “staffetta” tra i due leader leghisti, Maroni si dice pronto a “sostenere Umberto Bossi se si candiderà di nuovo a segretario”. Quanto alla Lega, “non è morta e non morirà mai”, continua Maroni, “e riparte da qui”. La Lega deve tornare potente, “non ci sono cerchi che tengano e per ripartire dobbiamo fare pulizia”. Perché “è intollerabile la violazione del nostro codice etico, chi sbaglia paga senza guardare in faccia a nessuno. Chi ha preso i soldi della Lega li dovrà restituire fino all’ultimo centesimo”. Maroni si dice certo che “Umberto Bossi non c’entra niente”, ma si è dimesso, come suo figlio Renzo: “Un gesto che apprezziamo”.
Un boato di fischi ha attraversato la Fiera di Bergamo appena l’ex ministro dell’Interno ha nominato Belsito, che “sarà espulso dal partito”. Altra bordata di fischi al nome di Rosi Mauro. “Mi spiace non abbia accolto la nostra richiesta” di lasciare il posto di vicepresidente del Senato, allora “ci penserà la Lega a dimetterla”. Il partito, però, chiarisce Maroni, deve finirla “con i complotti, le scomuniche, le fatwa, i cerchi…”. E la prima nuova regola è “i soldi alla sezioni e ai militanti, non in “Culonia””. Seconda regola, “meritocrazia”, terza “largo ai giovani”. E ancora, “fuori subito chi viola il codice morale della Lega”. Ma la cosa più importante è l”’unità del partito in vista dell’obiettivo finale”, cioè “la Padania libera e sovrana”. Maroni rispolvera i cavalli di battaglia delle origini, come la lotta “all’immigrazione selvaggia”, la contrapposizione all’Europa e alla “partitocrazia di Roma”. Ha esortato a fare presto i congressi di partito, il 3 giugno, in contemporanea tra Veneto e Lombardia.
Dopo Maroni, prende la parola il presidente Umberto Bossi, fondatore del movimento, che esordisce sottolineando anche lui la necessità di una “ripartenza”. Poi si dilunga a spiegare ai militanti l’ingresso di Belsito nella Lega come tesoriere. Secondo Bossi, il fatto che Belsito fosse entrato nel cda di Finmeccanica era una garanzia che non avesse “contatti con la mafia”. Ma questa parte del suo intervento è stata sottolineata da sonori fischi.
Il Senatùr ha affrontato anche il delicato discorso della famiglia, difendendo la moglie Manuela Marrone (“I giornali hanno scritto addirittura che fa le messe nere”) e i figli: “I danni sono stati fatti da persone che portano il mio cognome, e questo mi dispiace molto”. Sempre riguardo ai figli, Bossi si è assunto la colpa di averli fatti entrare in politica, mentre sarebbe stato meglio “farli studiare all’estero come ha fatto Berlusconi”. Quindi d’ora in poi, “niente parenti di primo e secondo grado dei dirigenti all’interno del partito”. Ma quello che è avvenuto, con Belsito che a un certo punto si mette a dire “cose compromettenti al telefono”, è solo un modo “per fare fuori la Lega”, ribadisce Bossi.
Mentre circa tremila militanti si radunavano a Bergamo per rivendicare l'”orgoglio leghista” ferito dagli scandali sui fondi del partito, il “triumvirato”che regge il Carroccio ha chiesto le dimissioni da vicepresidente del Senato di Rosi Mauro, la fedelissima di Umberto Bossi più volte nominata nelle carte giudiziarie. Lo ha affermato Roberto Calderoli, membro del triumvirato con Roberto Maroni e Manuela Dal Lago. Una richiesta che l’interessata ha respinto, contravvenendo “per la prima volta a una direttiva politica del partito”, ha spiegato con gli occhi lucidi durante la registrazione di Porta a porta in onda questa sera.
Ma al raduno bergamasco, convocato al grido di “pulizia” sotto le insegne delle scope di saggina portate da diversi militanti, la base si schiera contro la pasionaria vicinissima a Umberto Bossi: “Chi non salta Rosi Mauro è”, hanno gridato sotto il palco alcuni militanti in attesa degli interventi di Bossi e di Roberto Maroni, che dovrebbero sancire lo storico cambio della guardia al vertice. E all’indirizzo di Mauro, alla fiera di Bergamo sono risuonati insulti irripetibili. Ce n’è anche per un altro componente del “cerchio magico” bossiano, l’ex capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, invitato fragorosamente ad andare “fuori dai co…”.
La manifestazione è iniziata poco dopo le 21 con la proiezione di un breve video celebrativo di Umberto Bossi, con spezzoni tratti dalle passate edizioni del raduno di Pontida. Quando lo stato maggiore leghista è salito sul palco, dalla platea sono risuonati cori contrapposti: “Bossi, Bossi…” e “Maroni, Maroni…”. A fare gli onori di casa, il presidente della Provincia di Bergamo Ettore Pirovano, che ha esortato alla vigilanza contro gli “indegni” e ha affermato che Bossi continuerà a “vegliare su di noi”.