Politica

I nostalgici del dito medio e delle canottiere

Nell’età dell’ignoranza in cui viviamo è sempre confortante che qualcuno scopra l’importanza dello studio. Perfino Libero, per anni organo ufficiale dell’anti-intellettualismo bossian-tremontiano, ormai definisce “complessati del pezzo di carta” Rosy Mauro e Renzo Bossi che sono andati all’estero a comprarsi l’agognato titolo di “Dottore”. Camillo Langone scrive però di essere deluso perché, in passato, aveva votato qualche volta per la Lega perché “mi piaceva il loro anti-intellettualismo così raro nella politica italiana ingombra di professori e di saccenti” (domenica 8 aprile 2012, p. 8).

Scrive proprio “politica ingombra di professori e di saccenti” il precisissimo Langone. Immagino si riferisse a Maria Stella Gelmini, il celebre ministro dell’Università (cioè dei professori) che fantasticava sul tunnel per i neutrini fra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso. Oppure all’onorevole Angelo Cera, dell’Udc, secondo il quale lo spread è “la differenza fra quello che si produce e quello che si spende”. O magari all’on. Nunzia De Girolamo (Pdl) che per la data dell’unità d’Italia rispondeva ai cronisti di “chiedere al ministro Maroni”, come ha ricordato Carlo Tecce sul Fatto di domenica. Per equità, non si può omettere di citare la fuga con scatto da centometrista del deputato Pd (ma varesino doc) Daniele Marantelli per evitare di rispondere alla stessa domanda (copyright Le Iene). Degna di nota anche la risposta multiculturale dell’onorevole Amalia Schirru (Pd) alla domanda su cosa fosse una sinagoga: “Il luogo di culto che le donne musulmane frequentano per pregare il loro dio” (chissà come saranno stati contenti alla Comunità ebraica di Roma).

Non va dimenticato nemmeno l’uomo forte della Lega nel governo Berlusconi: Giulio Tremonti, che la laurea ce l’aveva ma fingeva di essere il compagno di banco del Trota. Per esempio, durante un comizio in Piemonte nell’aprile 2010 disse a una platea entusiasta: “Noi non leggiamo libri, mangiamo agnolotti”. Non contento, al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, nel 2011, si improvvisava storico di scuola braudeliana chiedendo alla platea: “Waterloo fu vittoria o sconfitta?” mentre i pragmatici ciellini, preoccupati per i loro danè, lo guardavano straniti. La risposta dell’allora ministro del Tesoro fu che si trattò di “una vittoria per l’Inghilterra e per l’Atlantico ma fu una sconfitta per l’Europa”.

La crisi del debito, lo spread, le dimissioni del governo Berlusconi: semplici conseguenze dell’era di dominio anglosassone sull’Europa iniziata in quella fatale pianura di Bruxelles. Gli avidi banchieri della City iniziarono già nel 1815 a succhiare il sangue delle indifese nazioni sul continente, non c’è dubbio. La perfida Albione ci ha sfruttato per quasi duecento anni senza che ce ne accorgessimo: infatti, per laureare il Trota sembra ci siano voluti oltre centomila euro, pagati cash non si sa bene a quale istituto inglese.

Sui giornali dei giorni scorsi soffiava un vento di nostalgia per il leghista delle origini, la cui scomparsa è “una catastrofe politica” (Giampaolo Pansa su Libero) oppure “un’altra sconfitta” per l’Italia del Nord (Severgnini sul Corriere, 7 aprile). In fondo, ciò che Bossi “ha fatto per favorire il figlio è immorale ma non mi scandalizza più di tanto” (Alberoni sul Giornale, 7 aprile). Sarebbe troppo chiedere ai nostalgici delle canottiere e del dito medio alzato se i risultati del governo di centrodestra 2008-2012 sono di loro gradimento? L’Italia in quasi-default prima dell’arrivo di Monti era il risultato del simpatico anti-intellettualismo di Bossi quanto del populismo d’accatto di Tremonti e Berlusconi. Sarebbe troppo chiedere ai commentatori che rimpiangono il Bossi pre-ictus perché che non faceva “annoiare” mai (Severgnini, Corriere) di ricordarsi anche dei respingimenti in mare, delle campagne d’odio contro gli immigrati, del salvataggio parlamentare di mafiosi e camorristi assortiti?

Post Scriptum: Va bene che quello dei familiari/badanti di Bossi era chiamato il “cerchio magico” e che la moglie Manuela dormiva con la testa sul mazzo dei tarocchi ma il cavalier servente della Rosy Mauro sembra avere più nomi della dea Kalì: il cantante/poliziotto si chiama “Pier Moscagiuro, in arte Pier Mosca” sulla Stampa (7 aprile, p. 2). Sul Corriere (7 aprile, p. 2) si chiama invece Pier Giuramosca, salvo a diventare il giorno dopo “Pier Moscogiuri”. Sarebbe da “saccenti” controllare la grafia esatta? Anche perché con lui è nata una stella: “Cantante di bella presenza e discreta voce, che ha coscienza dei suoi mezzi, ma evita con sapienza ogni passo falso” lo definisce Libero (8 aprile, p. 8).