Una volta il più fascinoso imprenditore veneto mai conosciuto mi ha raccontato sorseggiando grappa alle dieci del mattino di quanto per lui era importante il legame con la sua terra. Sembrava che parlasse di Tara, ma non era Rossella O’ Hara era Pietro Marzotto. Allora, pochi anni fa, pareva di parlare col capostipite di una generazione di capitani coraggiosi, titolari di piccole aziende lodate perché snelle e quindi più flessibili ai meccanismi del lavoro. Imprenditori col vento in poppa che mettevano fuori dalle fabbriche i cartelli con le scritte: operai cercasi, cercasi manodopera, posto sicuro.

Oggi quegli imprenditori stanno portando a uno a uno i libri in tribunale, i dipendenti sono merce che vale pochissimo, venduta e scambiata per pochi soldi da cooperative esterne e compiacenti, e il nordest dei giapponesi d’Europa sembra lo spettro della locomotiva che traina l’economia come si diceva allora.

Oggi facendo un giro nella zona industriale di Padova, ma lo stesso è per Treviso o Vicenza, si vedono altri cartelli appesi fuori dalle fabbriche: affittasi capannone, in vendita, vendesi. Cosa è successo in una manciata di anni a questi imprenditori che avevano i laboratori al piano di sotto e la casa a quello di sopra?

Abbiamo deciso di provare a capire e a raccontare questi cambiamenti attraverso le storie di chi, imprenditori, dipendenti, lavoratori o manager, questa trasformazione del Nordest la sta vivendo sulla propria pelle. Invitiamo chi ne ha voglia a raccontarci la propria storia qui sotto nei commenti.

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