Società

Aids, la scienza avanza per ipotesi dimostrabili

Nella discussione svolta nel forum a proposito dell’articolo sull’eziologia dell’Aids, mi ha impressionato sfavorevolmente una certa virulenza in alcuni interventi. Non si può chiedere, nemmeno come espediente retorico, a chi sostiene un’origine dell’Aids diversa da quella infettiva, di autosomministrarsi un sangue potenzialmente infetto “per vedere l’effetto che fa”. E’ un argomento violento, inaccettabile, che non arricchisce la discussione, che si dovrebbe, secondo me, svolgere in un confronto libero di idee.

Ma c’è un altro aspetto che è emerso nel corso del forum e che in gran parte discende da quello che considero un mio errore polemico e del quale me ne scuso: nella fattispecie ho adoperato il termine “negazionisti” per definire coloro che non credono all’eziologia virale dell’Aids. L’identificazione dell’interlocutore in una determinata categoria, denominata con termine dispregiativo, viene generalmente usata in politica. In tale ambito è ammessa allo scopo di delegittimare l’avversario, di ammutolirlo. Il dibattito, che potrebbe nascere, e smentire le proprie tesi, viene pregiudizialmente troncato. Vengono anche messe a tacere obiezioni fondate, ma che non sono corrispondenti ad una versione ritenuta corrispondente ad una logica considerata ortodossa ed inoppugnabile.

Si accomunano sotto una stessa etichetta persone che esprimono spesso posizioni diverse, magari in contrasto fra loro su svariati punti: “complottista”, “negazionista”, “ideologico”. Proprio come nel caso dell’Aids. C’è chi sostiene che sono i comportamenti a provocare la malattia; chi che i farmaci non sono efficaci e comunque dannosi; chi afferma che il virus (probabilmente selezionatosi prima degli anni ’60 e quindi certamente prima che si potesse disporre delle conoscenze necessarie) è l’esito di processi di manipolazione genetica. Mi sta molto a cuore il fatto che nei confronti di idee ci siano delle regole e dei principi che tutti sono tenuti a rispettare. Qualcosa di simile l’ha già detto Voltaire, ma credo che si debba partire dalla considerazione che nel comune tentativo di arrivare alla verità o meglio di approssimarla maggiormente, oltre a salvaguardare la legittima possibilità dell’interlocutore di esprimere il suo parere, non si debba nemmeno infamarlo con definizioni spregiative e ghettizzanti. Dopo averne naturalmente verificato la buona fede e l’aderenza ad un tipo di ragionamento logico-razionale. Non solamente dobbiamo avere gli stessi diritti, ma riteniamo vantaggioso per tutti applicare un metodo che aiuti a risolvere i problemi. Una condotta scorretta, che non consente uno svolgimento ad armi pari del confronto può, secondo me, determinare paradossalmente un effetto contrario.

Infatti non posso escludere a priori che chi contesta la tesi dell’origine virale dell’aids possa avere ragione, se il suo ragionamento rientra in un argomentazione coerente e razionale e perciò falsificabile. Io personalmente non penso di possedere alcuna verità rivelata per persuadere ed alla quale convertire il prossimo. Il metodo scientifico avanza per ipotesi dimostrabili sperimentalmente, falsificabili in qualsiasi momento e disponibili per visioni più avanzate e precise della realtà, talora anche contraddicendo le acquisizioni precedenti. Ed infatti parlando in modo generico la contestazione della medicina ufficiale nell’ambito dell’Aids riconosce riferimenti culturali, che ritengo autorevoli, per citarne due fra gli altri: lo stesso Duesberg e Montagnier. Mi risulta che il primo abbia in larga misura abbandonato l’argomento Aids (forse non a caso) e sembra interessarsi maggiormente del ruolo dell’aneuploidia nell’oncogenesi, altro argomento che ho in programma di affrontare, dal lato dell’influenza ambientale.

Montagnier si sta invece attivamente dedicando alla dimostrazione su base scientifica sperimentale della omeopatia. Però io voglio citare un suo articolo a doppia firma con R. Gallo sulla eziologia dell’Aids, pubblicato sul New England Journal of Medicine: Robert C. Gallo, M.D., and Luc Montagnier, M.D.N Engl J Med 2003; 349: 2283-2285 December 11, 2003.