Sbagliavano Menandro e Leopardi. Perché non “muore giovane solo chi è caro agli dei”, ma anche ai tifosi. Custodi della memoria di calciatori passati a miglior vita, dal campo di gioco al campo santo, dall’inno in curva all’omelia funebre. Targhe, lapidi e cippi commemorativi, ma anche intitolazioni toponomastiche e centri sportivi come antropologia culturale, osservazione e lettura del territorio, tra tragedie e imprese calcistiche donate ai posteri.
Così a Torino, passando per Corso Re Umberto, ci si imbatte nel monumento alla ‘farfalla’ torinista, al George Best della Mole, a Gigi Meroni “stella del calcio granata e nazionale”, travolto e ucciso proprio lì da un auto, nel lontano 1967. Sempre a Torino, zona Mirafiori Sud, c’è invece Via Gaetano Scirea, bandiera della Juventus e azzurro mondiale di Spagna 1982, che in un’altra macchina (ma in Polonia) morì nel 1989 in un rocambolesco incidente stradale.
Col disastro aereo sulla collina di Superga, dal 1949 nascono mito e leggenda del Grande Torino. “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede – scriveva Indro Montanelli – i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”. E difatti, molti interpreti del Filadelfia sono ancora in trasferta, grazie all’intestazione di stadi sparsi in tutta Italia: da Mantova (Stadio Martelli) a Brescia (Rigamonti), da Vicenza (Menti) a Varese (Ossola) e San Benedetto del Tronto (Aldo e Dino Ballarin), per fratelli accomunati anche in una strada di Roma, dove l’odierno Flaminio era un tempo Stadio Torino.
Sempre nella Capitale, ma a Viale di Tor di Quinto dove dirigeva gli allenamenti della prima Lazio tricolore, c’è il busto di Tommaso Maestrelli. Sponda romanista, nel centro sportivo di Trigoria, è stato recentemente inaugurato il Campo Agostino Di Bartolomei, stella giallorossa anche in una strada nel quartiere tuscolano, come un derby affianco a Viale Luciano Re Cecconi.
In età autarchica, Arpad Weisz fu allenatore di Alessandria, Bari e Novara, ma soprattutto di Ambrosiana-Inter e Bologna, con cui vinse – rispettivamente – uno e due scudetti. Ebreo ungherese (Austria-Ungheria), morì deportato ad Oswiecim nel 1944. Allo Stadio Dall’Ara (ex Littoriale), sotto la Torre di Maratona dove nel Risorgimento venne fucilato dagli austriaci il patriota Ugo Bassi e poi eretto il monumento equestre a Benito Mussolini, oggi c’è una targa in ricordo di Weisz, scoperta pure allo Stadio di San Siro dal comune meneghino.
Con una cerimonia nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano, sono stati traslati dall’abbandono nel Cimitero Maggiore di Musocco i resti di Herbert Kilpin, inglese di Nottingham già dell’Internazionale di Torino e nel 1899 socio fondatore e primo capitano del Milan Cricket and Foot-Ball Club. Lapidi e celebrazioni estere anche per i fondatori di Lazio (resti di Luigi Bigiarelli nel cimitero di Ixelles, in Belgio a Bruxelles) e Genoa (spoglie di Sir James Richardson Spensley nel cimitero militare britannico di Niederzwehren, in Germania a Kassel).
Erasmo Iacovone è tutt’ora l’eroe calcistico di Taranto, l’attaccante dal gol facile scomparso in attività nel 1978 per un incidente d’auto. Il comune ionico gli ha dedicato una strada e lo stadio nel quartiere Salinella, mentre i tifosi rossoblù una statua, sostenuta dalla petizione popolare “insieme per Erasmo, anch’io ho contribuito alla realizzazione”.
Quando nel 1977 il centrocampista del Perugia Renato Curi morì in campo sfidando la Juve, nessuno avrebbe mai creduto che un pezzo della sua (brutta) storia sarebbe poi confluita nella vittoria più ambita. Nella Renato Curi Angolana di Città Sant’Angelo (Pescara) sono cresciuti Massimo Oddo e Fabio Grosso, campioni di Germania 2006, figli di un dio maggiore: muore calciando solo chi è caro agli dei.