Ora, nel day after della Lega, il problema è: riuscirà Bobo Maroni a convincere il popolo del Carroccio a fare a meno dell’Umberto? E poi: riuscirà a tenere i voti d’opinione che la Lega raccoglie al Nord? Impensabile il partito di Silvio Berlusconi senza Berlusconi. Impensabile il partito di Antonio Di Pietro senza Di Pietro. In Italia le cose dei partiti vanno così. E il partito di Umberto Bossi può sopravvivere senza Bossi?
Maroni ci sta provando, con le scope dei Barbari Sognanti che infrangono il Cerchio Magico. E con una visita alla Procura di Milano che non ha nulla di giudiziario e tutto di politico: è un segnale di rottura con la gestione precedente del movimento, è la più sonora delle smentite al Vecchio Capo che ancora parla di complotti e servizi segreti. Bobo vuol far capire che lo sporco c’è e non si può più lavare in famiglia (!); che la Nuova Lega è pronta a tagliare il braccio infetto per tornare più forte che pria. Riuscirà l’operazione?
Nell’ultimo partito leninista sopravvissuto al Novecento, Maroni cerca di indossare i panni di Nikita Kruscev. Per ora, in pubblico ancora difende il leader che il popolo leghista identifica con la Lega. Bossi è per le camicie verdi il sogno della Padania libera (che non si sa bene che cosa sia), come Stalin era il “sol dell’avvenire” per i comunisti di tutto il mondo. Intanto però Bobo già contraddice il capo, prepara la successione (per la secessione c’è tempo) e, quando (e se) avrà in mano la Lega, dovrà far partire la destalinizzazione del partito. Chissà se sta già lavorando a un “rapporto segreto”, come quello che Kruscev presentò al ventesimo congresso del Partito comunista sovietico. Ma forse non ce ne sarà bisogno: le ruberie di famiglia (molto allargata) del gruppo Bossi le stanno già ricostruendo i magistrati di Milano, di Napoli, di Reggio Calabria. E poi di Genova, di Bologna, di Reggio Emilia…
Maroni, invece, si troverà presto davanti a un ulteriore problema: circoscrivere il marcio, disegnare il confine tra buoni e cattivi. Facile prendersela, ora, con le trote e le fattucchiere del Cerchio Magico e liberarsene con le scope di saggina dei Barbari Sognanti. Ma poi: Roberto Calderoli (chiamato “Cald” nelle carte dell’inchiesta) da che parte sta del confine? E da che parte stanno tanti leader e militanti leghisti che hanno fatto politica “sporcandosi le mani” per il partito e magari anche per le proprie carriere? Lo stesso Maroni, dov’era e che cosa faceva in questi anni e nei mesi di gloria del tesoriere Francesco Belsito? Bobo è come il Claudio Martelli del craxismo al declino?
Il leninismo della Lega non è solo nel suo centralismo niente affatto democratico, nel suo culto della personalità che ora dovrà fare i conti con le miserie di mogli e figli e badanti e amanti vari. È anche nella concezione della democrazia come mezzo, semplice strumento da usare quando serve, da accantonare quando si devono far valere le superiori ragioni di partito. Nel nome del sole verde dell’avvenire delle Alpi (come s’usava un tempo in nome del sole rosso del comunismo) vale tutto, tutto si può fare. Intascare 200 milioni di lire provenienti dalla maxi-tangente Enimont (era il 1993, Bossi era in perfetta salute e il Cerchio Magico mica c’era), come spolpare i militanti per buttare i soldi nella Credieuronord, o sostenere a spada tratta il romanissimo governatore di Bankitalia e il disinvolto banchiere della Popolare di Lodi. Certo, nel 2012 il tesoriere era un buttafuori da discoteca, non più un idraulico, ma la “questione morale” nella Lega non nasce nel 2012. Tornare alle origini, dice Maroni: vuole tornare a Patelli detto “il pirla”?
Il Fatto Quotidiano, 12 Aprile 2012