Oltre 32 milioni di abitanti, presumibilmente l’area urbana più popolosa dell’intero pianeta. È Chongqing, la Gotham City che fa da teatro alla complicata vicenda dell’epurazione di Bo Xilai.
Umidità. nebbia e smog. Una città che si sviluppa su dislivelli collinari e tra due fiumi, quello Azzurro e un suo affluente.
Appena arrivata, il cielo grigio lascia appena intravedere gru e orribili grattacieli. Eppure penso che doveva essere bellissima mentre mi avvicino alla zona centrale. Intricati vicoli, saliscendi, scorciatoie nascoste a gradini diseguali.
E ovunque i bangbang, l’esercito dei portatori: un corto bastone di bambù sulla spalla con due enormi pesi legati alle estremità. E a ogni angolo un ombrellone della polizia, giovani ufficiali in divisa dotati di un portatile che assorbe completamente la loro attenzione. E tra palazzoni orribili e grattacieli nuovi fiammanti su quel che rimane della vecchia Chongqing è già stato scritto 拆: abbattere.
Nel 1997, per cercare di gestire la massa di umanità che si sarebbe spostata in città a seguito delle evacuazioni forzate per permettere la costruzione della diga delle Tre Gole, a Chongqing è stato assegnato lo status di municipalità, ovvero una città direttamente controllata dal Governo centrale.
È il sogno di ogni metropoli cinese: miliardi di yuan che piovono per lo sviluppo urbanistico.
Da allora la pianta della città viene ristampata ogni tre mesi e nel 2010 il governo ha annunciato che un suo distretto diventerà una Zona economica speciale (come Pudong a Shanghai) con tasse, investimenti, politiche commerciali e territoriali specifiche.
È questa la città che il segretario Bo Xilai ha lasciato, e che nel 2011 vantava un tasso di crescita del 16,4 per cento (e un disavanzo di oltre 10 miliardi di euro).
Il rosso “modello Chongqing”, quello delle canzonette rivoluzionarie e della lotta (oltre i limiti della legalità: 4781 arresti in dieci mesi) alla mafia. Quello a cui ben sei dei nove membri del Comitato permanente del Politburo erano già venuti a rendere omaggio.
Il modello Chongqing però, nell’attesa del prossimo ottobre, quando avverrà la transizione alla quinta generazione di leader, si è trasformato in Chongqing Drama.
Dopo una serie di colpi di scena, la notizia bomba che molti aspettavano da febbraio è di ieri. Il notiziario della televisione di stato Cctv riporta che Bo Xilai è stato espulso dal Comitato centrale del Politburo. E non basta.
L’agenzia di stampa governativa Xinhua riporta che la moglie, Bo Kailai, è ufficialmente indagata per la misteriosa morte di Neil Heywood, un cittadino britannico, consulente per un’azienda fondata da ex agenti dei servizi segreti inglesi, che da vent’anni viveva in Cina e che frequentava la famiglia di Bo.
È dai tempi dell’“incidente di Tian’anmen”, che la lotta politica in Cina non usciva così prepotentemente dalle mura di Zhongnanhai a mezzo stampa. Ma per ogni notizia che esce, mille rimangono taciute.
Ad esempio nella stessa giornata di ieri, alla periferia della stessa area metropolitana di Chongqing, migliaia di persone sono scese in strada.
L’incidente probabilmente non ha niente a che vedere con l’epurazione di Bo Xilai, ma riflette bene le contraddizioni della megalopoli.
Al centro molti rimpiangono le politiche populiste di Bo Xilai – ginko lungo i viali (un miliardo di euro); piattaforme attrezzate per gli agenti (un centinaio di migliaia di euro l’una); agenti in divisa (70mila uniformi alla modica cifra di 400 euro l’una) – e non si capacitano della sua dipartita.
Mentre in periferia, per favorire lo sviluppo economico, all’inizio di quest’anno si è inglobato un distretto più povero (Qijiang) a uno più ricco (Wansheng), creando un’area da un milione di abitanti. Il risultato è che i servizi sociali dell’area più benestante si sono notevolmente ridotti.
Per questo gli abitanti di Wansheng hanno protestato. Ma di questo non si è saputo quasi nulla. I nomi dei due distretti sono bloccati sui social network cinesi. Un sito è riuscito a raccogliere le foto che circolavano su Weibo, il twitter cinese, prima che l’argomento venisse bannato.
Si chiama Molihua geming, la rivoluzione dei gelsomini. E le foto che ha raccolto raccontano di una manifestazione pomeridiana (“vogliamo mangiare, restituiteci il distretto di Wansheng” recita uno striscione) violentemente repressa nella notte.
E meno male che i cattivi erano già stati cacciati.