L’incubo del calcio italiano ha nome e cognome: omessa denuncia. Le inchieste delle procure di Cremona, Napoli e Bari vanno avanti, le voci sul coinvolgimento di altri atleti/dirigenti/allenatori aumentano di giorno in giorno, a tremare sono dieci società di Serie A. Almeno a sentire le accuse degli inquirenti, che in questi mesi hanno interrogato decine e decine di calciatori, dirigenti e addetti ai lavori. E continuano a farlo: oggi, del resto, è il turno dei laziali Cristian Brocchi e Stefano Mauri e di Carlo Gervasoni, il ‘pentito’ che ha tirato in ballo mezza Serie A.
Il problema, però, non sono soltanto i club su cui si concentrano le indagini, ma anche lo spropositato numero di coloro che all’interno del sistema calcio sapevano del giro di combine collegate alle scommesse illegali, ma non hanno detto nulla a chi di dovere. Omessa denuncia, quindi: un reato che il Codice di giustizia sportiva della Figc punisce con l’inibizione o la squalifica non inferiore a 3 mesi e un’ammenda non inferiore a 15mila euro nei confronti di tesserati a conoscenza di altri tesserati ‘scommettitori’. Non è questo il caso, tuttavia. Quello che si sta vivendo in Italia è molto più grave, perché chi ha preferito non denunciare puntate e taroccamenti ha ‘coperto’ illeciti sportivi a tutti gli effetti. Pena: inibizione o squalifica non inferiore a 6 mesi e ammenda non inferiore a 30mila euro.
Detto ciò, si può ben comprendere cosa stia rischiando il calcio italiano. Chiaramente il problema non è economico: qualsiasi giocatore coinvolto nello scandalo non avrà grandi difficoltà a pagare i 30mila euro di multa, specie dopo aver guadagnato fior di quattrini truccando le partite. Sul piano disciplinare, al contrario, il disastro è dietro l’angolo. Se a causa della responsabilità oggettiva delle società il pericolo è di veder sconvolte le classifiche a campionati ormai conclusi, per quanto riguarda i casi di omessa denuncia potrebbero volerci tempi biblici per stabilire responsabilità e, di conseguenza, squalifiche.
Il motivo? Semplice: è assai probabile che siano centinaia i tesserati che sapevano e non hanno denunciato. Non è un’esagerazione: basta leggere le intercettazioni telefoniche che popolano le inchieste dei pm per comprendere che Zingari, bolognesi, baresi e fauna varia fossero il classico segreto di Pulcinella per i frequentatori del pallone di casa nostra. In tal caso, all’interno del sistema calcio si sarebbe venuta a creare una scala dell’illecito sportivo su due livelli: in testa gli imbroglioni, i corrotti; subito dopo un sottobosco omertoso di giocatori, allenatori, direttori sportivi, presidenti, massaggiatori, ecc. Non si tratterebbe di trovare le mele marce, quindi, bensì di salvare quelle buone dal contagio.
Se così effettivamente fosse, quanto potrebbe impiegarci la giustizia sportiva a stabilire pene e sanzioni? Mesi e mesi, se non anni. A prescindere da probabili effetti kafkiani in ordine sparso (giocatori squalificati dopo il ritiro, dirigenti in là con gli anni al tempo del reato e quindi multati direttamente nella tomba), il pericolo maggiore sarebbe uno stillicidio di condanne a distanza di anni e, di conseguenza, la definitiva perdita di credibilità di tutto il sistema. Chi odia il calcio dirà: “Finalmente! Chiudiamo tutto questo circo rozzo e cafone, pensiamo ai problemi del Paese, alla crisi, allo spread, ai disoccupati”. Grave errore: fermare il pallone significherebbe non solo uccidere una passione, ma anche e soprattutto stoppare un business che, a prescindere dai pareri e gusti personali, in Italia dà lavoro a migliaia e migliaia di persone. Il riferimento non è solo ad atleti e allenatori, visto che le società di calcio o gli enti pubblici collegati al calcio hanno alle loro dipendenze molta gente, dagli addetti alla pulizia degli stadi agli impiegati negli uffici dei club.
Come fare, allora? Dato che la ‘giustizia veloce’ è una contraddizione in termini, l’ideale sarebbe una sorta di ‘scudo fiscale‘ applicato all’omertà. Spieghiamoci meglio: “Tu tesserato ti autodenunci subito, io giudice diminuisco di un terzo o addirittura dimezzo la pena prevista per il tuo caso, ma sconti tutto nel prossimo campionato. E se non cogli questa opportunità e ti dovessi far beccare tra qualche mese, sarai radiato“. Irrealizzabile? Può darsi, ma altre soluzioni all’orizzonte non se ne vedono. Forse proprio per questo motivo, a fine febbraio il pm di Cremona Roberto Di Martino ha proposto un’amnistia generale per chi è stato o sarà coinvolto nello scandalo calcioscommesse. Apriti cielo: le istituzioni sportive hanno rispedito al mittente l’idea, i tifosi idem. Sommo tradimento: per tutti, chi ha barato deve pagare. In pochi, però, hanno pensato che evidentemente il magistrato sapeva bene quale cortocircuito giudiziario-sportivo fosse dietro l’angolo. E i protagonisti del gioco? Sull’ipotesi avanzata da Di Martino quasi tutti zitti. E per forza: per loro l’amnistia avrebbe significato il definitivo diritto all’oblio.