Non ci vuole molto – diceva il cantautore Claudio Lolli, raccontando in musica la strategia della tensione – a capire che niente è cambiato ‘’da quel quarto piano in questura, da quella finestra’’. Dalla morte ‘’per malore attivo’’ dell’anarchico Giuseppe Pinelli all’autobomba di via D’Amelio, la storia italiana dello stragismo è un depistaggio continuo, una continua ricerca della verità frustrata da esiti giudiziari parziali o addirittura clamorosamente errati. E’ un vecchio copione, ma alla fine, si ripete sempre. Sempre gli stessi esecutori di comodo: gli anarchici – poi rivelatisi innocenti – per la bomba alla Banca nazionale dell’Agricoltura, nel ‘69. Un gruppo di mafiosi, ma quelli sbagliati, in galera per il botto di via D’Amelio. E come sempre, un povero Cristo che viene scelto come capro espiatorio della macchinazione e che paga per tutti. L’anarchico Pinelli, per la strage di Piazza Fontana. L’artigiano semi-analfabeta Enzo Scarantino, per quella di via D’Amelio.

Il primo, ‘’suicidato’’ durante un misterioso interrogatorio alla questura di Milano. Il secondo, torchiato con maniere ‘’forti’’ dai poliziotti della squadra ‘’Falcone-Borsellino’’, costretto a recitare la parte del ‘’nuovo Buscetta’’, e infine condannato a 18 anni per una strage mai compiuta. E i mandanti? Sempre, e comunque, ‘’occulti’’. A Milano, come a Palermo. Nel ’69, come nel ’92. A piazza Fontana, 43 anni dopo, si ragiona ancora sul ruolo di un pezzo (invisibile) dello Stato che avrebbe manovrato un pugno di legionari fascisti per piazzare la bomba che inaugurò la strategia della tensione. In via D’Amelio, a distanza di vent’anni, si filosofeggia sulla distinzione semantica tra ‘’mandanti’’ e ‘’concorrenti’’ eventuali di Cosa nostra, forse apparati deviati, forse agenzie di intelligence internazionali (ora nelle indagini è spuntata una specie di Cia parallela), alle quali andrebbe attribuita la regia dello stragismo che traghettò il paese dalla Prima alla Seconda Repubblica. Copione che vince, non si cambia.

Attenzione con i paragoni, si dirà: Pinelli era un anarchico, un idealista, non si può equipararlo a Scarantino, piccolo spacciatore della Palermo para-mafiosa, uomo senza qualità della palude urbana. Si, che si può. Se riflettiamo sul fatto che entrambi sono i martiri di un proletariato senza diritti e senza garanzie (che a Milano dopo il ’68 è politicamente duro e puro, a Palermo negli anni Novanta è solamente marginale), immolato sull’altare dell’impunità degli strateghi della strage infinita, perennemente senza volto e senza nome. Attenzione ai confronti: in seguito alla ‘’morte accidentale’’ di Pinelli, il commissario Luigi Calabresi finì assassinato dopo una feroce campagna di delegittimazione, orientata anche dalle false veline dell’Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D’Amato. Niente paura. Dei tre poliziotti (Mario Bo, Salvatore La Barbera e Vincenzo Ricciardi), indagati per aver ‘’gestito’’ la collaborazione di Scarantino, e sospettati di averlo imbeccato, non parla nessuno (o quasi). Non esiste alcuna campagna colpevolista, né innocentista, la stampa non pare minimamente interessata ad approfondire la loro condotta durante gli interrogatori su via D’Amelio. Oggi, ai vertici delle rispettive carriere, i tre segugi dell’antimafia possono dormire sonni tranquilli, perché gli indizi raccolti a loro carico sono stati definiti ‘’insufficienti’’ e l’unica novità che presumibilmente li aspetta è una bella archiviazione.

Il ‘’malore attivo’’ di Pinelli e il ‘’pentimento passivo’’ di Scarantino passeranno alla storia come piccoli inconvenienti, forse necessari, di una grande trama di potere. ‘’Su via d’Amelio c’e’ l’ombra di un colossale depistaggio istituzionale – sostiene il pm Antonio Ingroia – e queste operazioni si fanno per coprire settori dello Stato, non della criminalità organizzata’’. Ma ancora oggi, dopo che la procura di Caltanissetta ha riscritto da capo la fase esecutiva della strage Borsellino, con l’aiuto del pentito Gaspare Spatuzza, non ci sono mandanti occulti sotto i riflettori della giustizia. Solo manovalanza: un gruppo di mafiosi (agli ordini dei boss Graviano) oggi individuati al posto di altri mafiosi (agli ordini del boss Pietro Aglieri) che erano accusati ingiustamente. Nessuna mente raffinatissima è stata ufficialmente individuata – sinora – per l’uccisione di Borsellino. L’unico indagato eccellente è il ‘’signor Franco’’, nome di fantasia di uno spione mai identificato e forse mai esistito. Il fantasma del mandante occulto. Diceva Sciascia che lo Stato non può processare se stesso. E difatti la fabbrica del falso stragista Scarantino, come la fabbrica del falso stragista Pinelli, è ancora in piedi. Altro che romanzo di una strage. Qui siamo al fotoromanzo. Alla serialità di un plot narrativo prevedibile e scontato come una soap opera. Non ci vuole molto a capire che niente è cambiato. Che pagano sempre i manovali, anche se sono innocenti. Che pagano sempre i Pinelli. Gli Scarantino. La macelleria giudiziaria. Gli altri, gli intoccabili, restano sempre occulti.

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