“Finora abbiamo ricevuto critiche per troppa incisività o troppo poca incisività ma su una cosa siamo decisi: andremo in Parlamento e se la riforma non dovesse passare andremo a casa”. Con queste parole il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, da Reggio Calabria difende il progetto di legge sul lavoro dell’esecutivo Monti che dovrebbe approdare in Senato entro fine mese. E sugli esodati, su cui è convinta vada “raggiunto un equilibrio”, ha detto che sono “creati dalle imprese, che li mandano fuori dal lavoro a carico del sistema pensionistico pubblico e, quindi, della collettività”. Dichiarazioni che Confindustria riceve con “sorpresa e sgomento”. “Queste parole – ha commenta viale dell’Astronomia – danno una rappresentazione del mondo delle imprese che non solo non trova riscontro nella realtà, ma è anche offensiva”.
“Questa è una riforma del lavoro per il paese – ha proseguito Fornero – e non per compiacere sindacati, imprese o partite Iva. La nostra riforma punta ad un mercato del lavoro aperto, inclusivo e dinamico. Inclusivo, innanzitutto, vuol dire senza cittadelle protette perché è impensabile che in un mondo così dinamico si possano iniziare e concludere carriere, da 17 a 57 anni, sempre nella stessa realtà aziendale”.
In merito alle polemiche intorno al ddl, il ministro ha evidenziato che le critiche del mondo politico sono bipartisan. “E’ evidente che una vera rivoluzione, forse, sarebbe stata quella di chiudere la riforma con pochissimi articoli, per esempio uno che riguarda i contratti, che dovrebbero essere tutti a tempo indeterminato, e l’altro che riguarda l’abolizione dell‘articolo 18, discriminazioni a parte. Ma sarebbe stato come vendere illusioni, il Governo non ha ragionato seguendo gli interessi di una parte, ma guardando a quello generale, per il bene del Paese”.
Il ministro ha poi evidenziato che “il mondo è cambiato, è più dinamico. Le lunghe carriere non esistono più, ma è comunque evidente che se uno perde il lavoro deve avere un’indennità. Un’indennità che non deve essere un sussidio, ma uno stimolo ad attivare il lavoratore alla partecipazione a corsi di formazione, o ad altre occasioni, ed in questo sono chiamati in campo anche le amministrazioni locali che devono lavorare per il varo di politiche attive, di reti di servizi, nella spesa efficace del fondo sociale europeo. La parola d’ordine, anche nella pubblica amministrazione, deve essere produttività. E’ evidente che è quasi impossibile varare una riforma che accontenti tutti, il nostro lavoro infatti è quello di cercare un equilibrio”. Infine, complimentandosi con tutti i giovani presenti, ha sottolineato che “l’Italia negli ultimi anni si è impoverita per mancanza di crescita”. E ha ribadito che il governo tecnico non è “senz’anima” perché ogni decisione “è stata presa tenendo ben presenti le esigenze della società, il valore ed il futuro dei giovani”.
Ma Confindustria commenta duramente le considerazioni del ministro che, spiega in una nota, “danno una rappresentazione del mondo delle imprese che non solo non trova riscontro nella realtà, ma è anche offensiva”, perché “le imprese quando riducono il personale lo fanno solo per necessità”. Quanto poi ai costi del welfare, spiega di avere già documentato l’importante onere economico che le imprese sostengono per pagarsi gli ammortizzatori sociali. “Se in un periodo di profonda crisi si cambiano le regole ‘in corsa’ – argomenta l’associazione degli industriali – è responsabilità di chi decide di cambiare le regole, prevederne le conseguenze. Se non lo si fa, non si può imputare alle imprese alcuna colpa. Nè si possono mettere in discussione gli accordi che, nel pieno rispetto delle leggi, imprese e sindacati hanno stipulato per attenuare gli impatti sociali derivanti dalla crisi”. Inoltre la limitazione “del precedente regime previdenziale solo ad alcuni soggetti, senza darsi pensiero di tutti i lavoratori coinvolti nelle procedure di mobilità, è stata una scelta del legislatore, non certo delle imprese”. E invita il ministero del welfare a fare fronte alla situazione: “Ora si tratta di trovare le risorse economiche per affrontare la questione e mettere la parola fine a quel balletto di numeri cui assistiamo in questi giorni. Con estrema chiarezza si deve dire che non si tratta di una concessione rispetto alle legittime sollecitazioni che giungono da lavoratori, organizzazioni sindacali e imprese, bensì di un atto dovuto”.