L'uomo forte del Carroccio in Emilia Romagna ha voluto incontrato la base del partito. Ma c'erano sì e no 50 persone, scure in volto e infuriate con tutti, da Bossi in giù: "Per la prima volta mi sono vergognato di essere leghista"
Alessandri, da un decennio a capo del Carroccio in Emilia, è uno dei cinque della Lega nord che la procura di Reggio sta indagando per presunti finanziamenti illeciti. L’indagine di Reggio, nata da un esposto di Marco Lusetti, ex vice di Alessandri espulso dal partito nel 2010, rischia di terremotare un partito che oggi, per la prima volta dallo scoppio degli scandali, si è riunito proprio a Reggio in un hotel della periferia.
All’appuntamento pochi fazzoletti verdi, nessuna bandiera. Della cinquantina di militanti, in attesa del loro leader locale, la maggior parte sono dirigenti dei paesi di provincia, consiglieri comunali o provinciali. L’elettorato, quello che alle ultime elezioni ha dato il 14 % al Carroccio, quello manca. Molti dei presenti, tuttavia, si lamentano: “Al mio paese non arrivano neppure i soldi per il giornalino della sezione. Basta con le macchine pagate dal partito ai figli di papà, solo perché si chiamano Renzo Bossi”, racconta un militante, consigliere comunale in un centro della provincia. “Per la prima volta mi sono vergognato di essere un leghista”.
“Si è creata una casta” racconta un altro militante. “Dopo vent’anni, come in un’azienda, bisognerebbe che ci fosse un ricambio nelle cariche dirigenziali”, spiega un leghista milanese trapiantato a Reggio, padano dal 1991. “Ero entrato nella Lega perché credevo in qualcosa di nuovo. Ora ci vogliono altre regole e mandati unici nelle cariche, sia in quelle di partito che in quelle pubbliche”.
Quando Alessandri arriva nell’hotel pochi militanti gli vanno incontro. Nella sala al primo piano dell’hotel dove sta per iniziare la riunione la tensione si taglia a fette, sia tra la base sia tra i dirigenti. E la stanchezza si vede anche nel viso del parlamentare. È provato. Del resto ora all’interno della Lega cominciano a cadere le teste. Quella di Rosi Mauro, ombra di Umberto Bossi, è caduta dopo pochi giorni di voci e gossip, senza che neppure fosse indagata. Lui, Alessandri, ex presidente federale (una specie di Presidente della repubblica padana), vicinissimo al Senatur sa che adesso nessuno è immune alle “scope maroniane” aiutate magari da quelle della magistratura.
E a proposito della “nera” Rosi Mauro, continua a montare il giallo sul voto di Alessandri sulla sua espulsione. Lei sostiene che il deputato emiliano non era presente. Lui tentenna. “Le avevo consigliato di dimettersi da vice presidente. Ha deciso di non farlo e a quel punto l’espulsione dal movimento era automatica. Se ho votato? Non ricordo sono stati momenti concitati. Forse ero fuori, non so”. Più tardi, all’uscita dalla riunione, prova a spiegare: “Io non commento e non dico ciò che succede in consiglio federale”. Ma il dubbio rimane: era d’accordo o no con l’espulsione della ex pasionaria bossiana?
All’uscita dall’incontro con i militanti, Alessandri è un po’ più disteso. È il primo pomeriggio e nonostante sia durata oltre tre ore all’incontro non sarebbero volati i coltelli. Tuttavia la parola ricambio ai vertici è rimbalzata più di una volta. Alessandri minimizza “”In buona parte i militanti mi hanno chiesto di ricandidarmi. Deciderò tra una settimana, perché non dipende solo da Reggio, ma anche da tutte le altre province. Sula questione che dopo 11 anni ci possa essere ricambio questo tema sì che è stato sollevato, e il primo a farlo sono stato io”.
I militanti non parlano e chi lo fa sdrammatizza. Alessandri dice di aver spiegato tutto: “Il movimento è compatto e questa è la cosa che mi interessava capire di più. Volevo capire quale era la reazione dei militanti. Volevano chiarezza, l’abbiamo fatta a 360 gradi, siamo molto sereni e tranquilli, convinti che
quando viene buttata fuori una persona indegna ci sono degli strascichi”. E infine torna a dire: “Se il procuratore mi chiama io vado anche fra un’ora”.