Piermario Morosini, 26 anni, addio alla vita. Non muore giovane chi è caro agli dei, muore e basta. I campionati sospesi, il cordoglio, le lacrime d’inchiostro, roba da cinque minuti. Tutto tornerà come prima, perché non può esistere alcun dopo nel precipitoso circo di un calcio che a seconda della bisogna è sport, poi gioco, poi professione, ma soprattutto soldi e infine approdo per frotte di commentatori falliti sui campi da calcio e affermati nell’opinionismo.
Col passare dei minuti ci si concentra disperati sul perché, si passano in rassegna le immagini, i video, ci si aggrappa a quei 3/4 minuti persi dall’ambulanza che non arriva perché un’auto in sosta dei vigili le sbarra la strada. Sarebbe cambiato qualcosa? Avrebbe fatto la differenza? Più che una ipotesi è un tormento, l’agonia di trovare una colpa al non senso, la certezza che quelle briciole di secondi rappresentavano comunque almeno una possibilità in più di farcela. La Figc sospende tutto, minuto di raccoglimento durante il quale lasciare acceso il cellulare, c’è un baraccone da far ripartire. Se un calciatore non corresse per novanta minuti lo spettacolo dello sport si arresterebbe? Dagli spalti la folla plaudente vuole la sua parte: veder correre, sudare, sputare sangue, mantici nel petto al posto dei cuori. Ragazzi di vent’anni con volti vissuti di chi ne ha quaranta.
C’è un momento in cui di fronte all’inspiegabile hai bisogno di una ragione contro la quale scagliarti e ti accorgi che alla fine ti resta solo un’auto dei vigili che intralcia l’ambulanza, che forse avrebbe fatto la differenza tra vivere e morire. A bordo campo non uno straccio di defibrillatore. Non si uccidono così anche i cavalli?