Vuoi scrivere, perché ce l’hai in mente, un giallo e non sai come raccapezzarti tra caserme e stazioni di polizia che non hai mai visto e interrogatori che non sai come funzionano?
Il consiglio che danno alcuni è di leggere la cronaca nera sui giornali.
Anche perché si parte da un fatto, che nulla c’entra con la fantasia, e poi la fantasia può volare (Fabrizio de André scrisse “La canzone di Marinella” dopo aver letto su un giornale locale di Alessandria che una prostituta, scivolando nel Tanaro, era morta annegata). Spesse volte, poi, la cronaca nera è un discorso interrotto.
Parrebbe che, sembrerebbe che.
Il giallo no: è una composizione perfetta del puzzle.
Questa storia – come altre -, però, io penso sia giusto che rimanga tale: incerta, in sospeso.
Aveva 16 anni e la vita davanti. Figlia di emigranti albanesi, Eda era una bella ragazza che andava bene a scuola e che sorrideva sempre. Quando muore qualcuno sui giornali, a meno che non si tratti di un usuraio, si scrive, quasi per inerzia, che “era ben voluto da tutti”. Eda lo era per davvero benvoluta dalla sue compagne del Liceo.
Perché quando seppero e si seppe che si era uccisa, impiccandosi, la scuola si fermò, non ci volevano credere le sue compagne e i suoi compagni di classe, “perché avrebbe dovuto?” si domandarono tutti. Se lo domandò anche la polizia, non c’erano spiegazioni.
Interrogando parenti e amiche venne fuori che non aveva nessun corteggiatore e nessuna storia d’amore.
C’era una sola cosa che faceva pensare: il padre, laureato in medicina ma che da noi aveva trovato lavoro come muratore, da tre mesi, avendo perso il posto, era tornato in Albania, in cerca di occupazione. Poteva essere questa la causa del suicidio? No, per due motivi. Il primo: la mamma di Eda lavora. Il secondo: Eda alle amiche dice spesso che in Italia sta bene, ma che ha nostalgia dell’Albania. Perché, dunque, Eda si uccise?
Magari il segreto della sua morte è nel suo computer, si disse, o meglio: dissero i poliziotti ai giornalisti.
Macché, niente. Non risultò nulla di nulla di nulla.
Le sue compagne e i suoi compagni l’accompagnarono, così, al camposanto, con la domanda – Eda, perché l’hai fatto? – senza risposta.
(Certo, chi sa dare una spiegazione a tutto c’è sempre, no?).
Restava l’immagine degli ultimi momenti, ricostruiti.
Eda si lava, si veste bene, poi va nella camera da letto dei suoi genitori, dove c’è un grande lampadario. Sale sul letto, ha deciso. Ha una corda con sè. Prima di impiccarsi, però, toglie le scarpe. Non vuole sporcare il copricoperta, lei.
Eda, perché l’hai fatto? Giusto che il puzzle non si ricomponga.
(Tra il giorno della sua morte e quello del suo funerale, proprio sotto casa sua ci furono i lazzi e gli schiamazzi di una Notte bianca. In fondo era morta solo una giovane albanese…).