Contratti d'oro per Finmeccanica, Aermacchi, Agusta Westland, aziende di armamento finite al centro delle indagini di diverse procure. Secondo gli inquirenti di Napoli avrebbero avuto un ruolo anche nello scandalo che ha travolto la Lega
Per esodati, pensionati e disoccupati i soldi non ci sono mai. Per i militari, invece, pare si trovino sempre. Mentre i conti del paese arrancano infatti, il governo decide di spendere 132 milioni di euro per la nostra Marina. Una notizia nascosta tra le pieghe dell’attualità e contenuta in un estratto di aggiudicazione di gara pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in cui si legge, a caratteri ridotti, “ai sensi dell’art. 66 del Dgls n. 163/2006” per forniture e servizi militari. Segue un lungo elenco di sigle, numeri e importi. Di che si tratta? Sono una trentina di contratti d’oro che vanno a Finmeccanica, Aermacchi, Agusta Westland le aziende di armamento finite al centro delle indagini di diverse procure. Secondo gli inquirenti di Napoli avrebbero avuto un ruolo anche nello scandalo che ha travolto e decapitato la Lega.
Ma più che le ombre e le carte coperte da segreto istruttorio a sollevare un caso, stavolta, è una scelta compiuta alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti: l’acquisto di 132,6 milioni di armi e dispositivi per la Marina Militare. Gli importi più impegnativi sono relativi alle fusoliere per i veivoli P72A. Costeranno 19 milioni e mezzo di euro in otto anni. L’aggiornamento degli elicotteri Agusta Westland con nuovi apparati di comunicazione è stato aggiudicato alla stessa impresa per 35,5 milioni e mezzo di euro. E ancora 3 milioni milioni in razzi per l’Esercito e apparati radio che consentano il controllo satellitare a bordo degli aerei (2,3 milioni). Seguono per svariati milioni mitragliatrici, munizioni, pezzi di ricambio, programmi di manutenzione. Chiudono il cerchio uno studio per l’impatto acustico nei siti militari del nuovo caccia F-35 e per “l’eliminazione di patologie alla cervicale tramite bilanciamento ergonomico dei caschi pilota di elicottero”.
Ma il problema non sono solo i costi, in evidente contrasto con la situazione del Paese. L’ennesima shopping list militare è destinata a far riesplodere la polemica in Parlamento martedì prossimo, durante la Commissione Difesa alla Camera dove sarà ascoltato proprio il direttore generale Michele Esposito, ultimo firmatario degli atti di aggiudicazione delle gare. “Dirò che non erano questi i patti e chiederò spiegazioni in merito”, attacca l’onorevole Audusto Di Stanislao (Idv) che ha fatto battaglie memorabili (quanto poco ascoltate) sul tema del disarmo: “Quei 132 milioni sono l’enneisma dimostrazione che la commissione è commissariata. Dovrebbe essere l’organo politico di indirizzo in materia di difesa e invece ogni volta scopriamo che le scelte vengono fatte altrove, a totale discrezionalità delle singole direzioni e senza alcuna garanzia che siano state prese per fare gli interessi del Paese e non quello dell’industria degli armamenti”. Al centro della discussione proprio Finmeccanica e la sua galassia di aziende pubbliche. “Per capire cos’altro scopriremo domani leggendo i giornali abbiamo chiesto in un’audizione dei vertici il piano industriale di Finmeccanica e non è mai pervenuto. Martedì ribadirò che non possono fare i comodi loro, non possono comportarsi da impresa privata quando vogliono e da azienda pubblica quando fa comodo”.
Meno tranciante il giudizio di Guido Crosetto (Pdl) che è stato sottosegretario alla Difesa e ne conosce bene i meccanismi. “Certo quegli acquisti destano un certo imbarazzo vista l’aria che tira nel Paese. Ma stiamo parlando di aziende che se non compra il Paese difficilmente hanno un fatturato. Che facciamo, chiudiamo l’industria bellica e mettendo a rischio 100mila posti di lavoro? E’ una scelta rilevante ma non possiamo farla con demagogia. Sappiamo tutti che la galassia di Finmeccanica è un carrozzone della Prima Repubblica usato come serbatoio di consenso per collocamenti e operazioni imposti dalla politica. Quelle aziende non devono morire ma essere riconvertite dalla loro mission originaria allo sviluppo tecnologico ad uso civile. Certo, vanno rivoltate come un calzino perché tornino ad essere normali, moderne e in grado di competere nel mondo. E’ un tassello importante delle scelte di poitica industriale di cui il Paese ha profondamente bisogno”.
Martedì si tornerà dunque a parlare dei tentativi di frenare la spesa militare. Dei caccia F35 ridotti di numero (da 131 a 90) ma confermati dal governo (nonostante gli stessi americani lo abbiano ridotto e diversi paesi si siano sfilati senza penali) e del piano di riduzione di spesa del ministro Giampaolo Di Paola approvato il 6 aprile scorso con il taglio di 50mila unità dall’organico. E non mancheranno le polemiche sugli sprechi anche sul fronte delle risorse umane. Grazie a un’interrogazione del radicale Maurizio Turco, ad esempio, si è appreso che a libro paga dell’esercito ci sono anche 176 cappellani, 5 vicari episcopali, il provicario generale e l’arcivescono ordinario militare e quasi altrettanti loro colleghi in pensione (pensioni da 43mila euro lordi/anno). Alla fine dei conti solo la cura delle anime dei militari italiani nel 2012 costerà allo Stato 15 milioni di euro.