Chi di voi ancora non ha sentito parlare di Joseph Kony, il criminale di guerra ugandese, quello che a capo del Lord’s Resistance Army (LRA) ha terrorizzato il nord dell’Uganda commettendo le peggiori atrocità, tra cui il rapimento sistematico di bambini costretti poi a combattere con metodi di indicibile crudeltà?
Pochi, immagino. Eppure fino a marzo scorso, eccetto gli addetti ai lavori, praticamente nessuno sapeva chi fosse.
Ora, a un mese dal lancio di una campagna virale su internet, sono piú di 40 milioni le persone che hanno visto il video prodotto dalla NGO americana Invisible Children: 29 minuti di efficacissima comunicazione con una missione: rendere Kony famoso in tutto il mondo, ‘famoso come una celebrity’ (parole di George Clooney che non si capacita del perché i criminali di guerra dovrebbero essere meno famosi di lui), al fine di riuscire ove la Corte Penale Internazionale ha finora fallito: arrestare Kony ponendo fine ai suoi orrendi crimini.
Non credo di dover ripercorrere nei dettagli i contenuti del video. Giá altri ne hanno parlato anche qui sul Fatto nei giorni immediatamente successivi all’uscita del video, cha ha fatto sensazione e presa tra le persone più diverse come dimostrano i commenti di Alessandro Masala, Ernesto Salvi, e Januaria Piromallo & Marika Borrelli.
Il video comunque continua a girare (proprio ieri un’amica me l’ha rimandato pregandomi assolutamente di vederlo) e sono consapevole che anch’io con questo post sto rendendo Kony ancora più famoso, secondo le intenzioni dei suoi produttori. In ogni caso questo video é stato al centro di una campagna mediatica davvero senza precedenti peraltro costellata da dure critiche.
In particolare Jason Russell, l’ideatore del progetto (nonché di fatto il protagonista del video, insieme al suo bambino di pochi anni a cui lui “racconta la storia di Kony”, quasi fosse una favola dei Fratelli Grimm) é finito al centro di un tale girandola di critiche e attacchi anche personali che lo ha portato a un breakdown per stress (pare) e ora è ricoverato in una clinica psichiatrica dove resterà per settimane.
Mi ha fatto sorridere un suo video (prima di impazzire ?) in cui il buon Jason si paragona indirettamente a Gesù: come lui infatti si limiterebbe a raccontare storie, e Gesù Cristo “was the best story teller of the world”. E pensare che il suo nemico giurato, Kony, ha sempre vaneggiato di essere una sorta di nuovo Gesú Cristo (anche lui).
Tuttavia a quanto pare neanche Russell immaginava di raggiungere tale notorietà e scatenare un tale putiferio con un video su un criminale di guerra ugandese. Certo il video è fatto bene, toccante; inoltre il linguaggio da Star Wars, la retorica del cattivo, il ricorso a mezzi di propaganda semplicistica ma efficace, come l’essersi assicurati un tot di attrici e altri personaggi pubblici famosi che parlassero di Kony in pubblico (come solo gli americani sanno fare, vedi Angelina Jolie che in stile Tomb Raider dichiara che distruggerebbe Kony, hanno aiutato.
Bravi, d’accordo, ma come accidenti hanno fatto a raggiungere 40 milioni di persone? Di cui molti ora se ne vanno in giro con una maglietta rossa o un braccialettino al polso con su scritto Kony… Credo che all’abilità dei produttori si aggiunga una sorta di effetto psicologico tra noi che guardiamo: Kony è il cattivo, il male assoluto. E noi siamo i buoni: dobbiamo salvare il mondo. Certo che sarebbe bello salvare il modo cliccando “mi piace” su un video su Facebook, ma temo che la cosa non sia così semplice e neanche 400 milioni di click ce la faranno.
Ammetto che mi spaventa questa campagna di demonizzazione. Intendiamoci, Kony è un criminale; è sospettato di avere commesso orrendi crimini e nei suoi confronti (come per altri capi del LRA) pende dal 2005 un mandato di arresto internazionale spiccato dalla Corte Penale Internazionale per ben 33 fattispecie di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
E tuttavia anche il peggior criminale del mondo (se davvero fosse lui come la campagna suggerisce, ma ne dubito) ha diritto a un processo prima di essere definitivamente condannato.
Jason Russell e i suoi ripetono che vogliono solo assicurare Kony alla giustizia internazionale, ma in realtá utilizzano una sofisticata retorica di guerra, di odio, che non mi stupirei affatto se portasse alla uccisione di Kony più che al suo arresto. L’annientamento del nemico, dipinto come male assoluto, la vendetta, poco hanno a che fare con il diritto e molto con la guerra. Basta intendersi allora, ma non trasformiamo l’uno nell’altra (come con l’uccisione di Osama Bin Laden: “giustizia è fatta” disse Obama).
Inoltre, il problema del conflitto in Uganda tra LRA e le forze governative di Museveni, che dura da oltre un quarto di secolo (ma che in questo momento non è un’emergenza nel nord dell’Uganda, anche questo va ricordato), è ben più complesso di un fumetto di super eroi con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, e certamente non si risolve attorno alla figura di Joseph Kony, per quanto invasato l’uomo possa essere.
Senza spingermi a sostenere, come alcuni fanno, che si tratterebbe addirittura di un complotto per allungare le mani sul petrolio ugandese mi chiedo seriamente se possono iniziative mediatiche come questa davvero portare un contributo alla pace e alla risoluzione di un complesso conflitto in Africa?
Intanto aspetto con curiosità il 20 aprile, data in cui il movimento annuncia che intraprenderà “il prossimo passo per porre fine ai crimini del LRA e sposterà la conversazione dal mondo digitale a quello reale”, ove solo il vero cambiamento può avvenire. Good Luck.