E’ poco prima di mezzogiorno. Il sole è già alto e la via è ancora transennata poco dopo l’incrocio che separa Wazir Akbar Khan dal quartiere di Sharenaw, dove si trova l’ospedale di Emergency. Il corpo dello shahīd, il “martire” predestinato, uno dei quattro che ha tenuto in scacco Kabul in quest’area centrale della città per oltre 17 ore, è riverso nel gabbiotto della polizia proprio sotto l’edifico in costruzione da cui teneva sotto tiro il quartiere delle ambasciate, la green zone della capitale. Ha il corpo crivellato di colpi e il volto insanguinato che è già pieno di mosche nonostante non sia ancora la loro stagione. Vestito di nero, il corpo minuto, la barba corvina e le membra rattrappite nello spasimo mortale che ha segnato la sua breve esistenza: non avrà 25 anni. E’ la carne da macello che la guerriglia in turbante manda a compiere azioni d’avanguardia, viaggi senza ritorno dall’inferno, scatenato nella capitale per un giorno e una notte, fino al paradiso delle vergini promesso da qualche mullah. I corpi rigidi degli altri tre sono ancora nell’edificio dove hanno resistito sino all’alba.
La battaglia di Kabul – non se ne vedeva una uguale da settembre – è finita con un bilancio già scritto: tutti gli attentatori morti (qualcuno si è fatto saltare, gli altri sono stati uccisi durante il conflitto iniziato ieri dopo l’ora di pranzo e conclusosi all’alba), una dozzina di poliziotti o agenti della Difesa sul terreno, decine di feriti negli ospedali (tra gente di passaggio e polizia) e quattro vittime civili, un numero basso rispetto ad altre azioni del passato (il totale dei morti – terroristi compresi – sale a oltre cinquanta se la conta si estende a tutto il Paese). E in effetti il risultato politico non sembra premiare i guerriglieri ma le forze di sicurezza afgane, che hanno risolto il problema abbastanza rapidamente e senza fare una carneficina nonostante l’uso di elicotteri, bombe, razzi, utilizzati per spegnere l’ultima resistenza dei quattro ribelli asserragliati nell’edificio in costruzione nel centro città. Meglio è andata davanti al parlamento dove non è stato necessario usare elicotteri.
La tecnica ormai consolidata di usare le case in costruzione come nascondiglio per armi pesanti (i micidiali Rpg) è ormai moneta corrente in questo tipo di azioni, che hanno fatto pensare agli specialisti in materia, la cosiddetta Rete Haqqani, la fazione più radicale dei talebani. Ha funzionato, soprattutto per via dei “guerriglieri martiri”, ma risulta perdente sul piano politico. La gente, almeno a Kabul, sembra davvero non poterne più di questi stragisti che non guardano in faccia nessuno e che riempiono le loro azioni di effetti collaterali. Paralizzano la città per ore, impongono la chiusura dei negozi e un fuggi fuggi generale senza ottenere il consenso che vorrebbero. Che è invece cresciuto in queste ore proprio per il nemico numero uno ormai: il governo Karzai, che i talebani considerano, più che un alleato di Washington o di Roma, un burattino nelle mani delle cancellerie occidentali. Ma quest’azione, condotta in toto, a quanto è dato sapere, dalle sole forze di sicurezza locali, alza le quotazioni del “sindaco di Kabul”, come il presidente veniva spesso spregiativamente indicato. Karzai si permette anche di auto-criticarsi: «Un fallimento di intelligence per noi e specialmente per la Nato», dice il presidente considerando che l’attacco non è stato preventivamente fermato. Ma loda le forze di sicurezza locali per «il coraggio e il sacrificio dimostrati con la rapidità della loro risposta».
La Nato e gli americani erano in realtà presenti sin dal pomeriggio di ieri. E questa mattina, un convoglio francese di Isaf ha circondato l’edifico del centro città. Ma sarebbero rimasti ai lati della battaglia: consiglieri tattici di cui forse gli afgani non hanno nemmeno bisogno. Un risultato politico messo in evidenza da Kabul a Washington e che accelera, sul piano politico, il tempo del ritiro occidentale che ormai tutti, tranne forse buona parte degli afgani, vogliono realizzare nel più breve tempo possibile. Gli agenti hanno spinto poco a poco i guerriglieri verso i piani alti. Li hanno stremati a suon di mitraglia e poi, una volta asserragliatisi al quinto piano, sono intervenuti con gli elicotteri per regolare l’ultimo conto.
Oggi la città è deserta. Tranquilla all’apparenza come in un giorno di festa. Gran parte dei negozi sono chiusi. Poche le macchine. Ma quello di ieri non è un episodio isolato. Tornerà. Chissà dove colpiranno la prossima volta, si chiede la gente della capitale. Inshallah.
di Emanuele Milanese