Molti stand della principale kermesse mondiale dell'arredamento sono stati costruiti da migranti clandestini che hanno lavorato senza contratto e tutele per pochi euro l'ora. “E' sfruttamento, ma i soldi ci servono per mangiare”
Per capire l’entità del fenomeno basta andare a farsi un giro di prima mattina alla fermata della metropolitana Rho Fiera nei giorni immediatamente precedenti il Salone, durante la fase dell’allestimento degli stand. Davanti alla metro e agli ingressi merci del polo fieristico più importante d’Europa, in mezzo a camion e mezzi che entrano ed escono, sono tutti lì ad aspettare: un caporale che li carichi nel retro del furgone o qualche “paesano” che dia loro un badge (spesso falso) per superare i controlli ed entrare all’interno dell’area. Tre o quattro giorni di allestimento ed altrettanti di smontaggio a fiera conclusa: in totale sette-otto giorni pagati dai 6 agli 8 euro all’ora senza uno straccio di contratto e quindi senza nessuna tutela, a partire dalla copertura sanitaria per eventuali infortuni.
Il caso era già esploso un anno fa, quando un cronista de Linkiesta si era mescolato fra le file dei senza diritti che affollavano il piazzale antistante la fiera alla ricerca di un lavoro. Nonostante l’indignazione generale e le promesse degli organi preposti, dodici mesi dopo, la situazione che il fattoquotidiano.it ha potuto fotografare è grosso modo la stessa. Ma com’è possibile che in uno dei i centri fieristici più importanti del mondo vengano utilizzati lavoratori senza tutele né diritti esattamente come succede negli aranceti di Rosarno in Calabria? “E’ possibilissimo – risponde una fonte qualificata della Fiera – Basta andare a vedere come vengono assegnati i lavori e il sistema delle scatole cinesi degli appalti”.
Già, gli appalti. Un’azienda di mobilio che intende prendere parte alla manifestazione con uno stand ha due strade: o se lo costruisce da sé oppure demanda il tutto alla Nolostand, azienda partecipata al cento per cento da Fiera Milano che si occupa dell’allestimento dei padiglioni. Una volta definito il progetto d’arredo, Nolostand demanda le operazioni di montaggio a un consorzio, la Scm (Società consortile montaggi) che a sua volta subappalta ad altre aziende la ricerca di manodopera. “Abbiamo notato fino a quattro subappalti per la costruzione di un singolo stand – spiega la fonte di Fiera Milano – Il primo vince l’appalto per un prezzo di 35 euro al metro quadro e lo gira a una seconda azienda pagandola 30 euro. Questa non fa il lavoro, ma inoltra la commessa a una terza azienda che lavora per 20 euro che a sua volta appalta a chi materialmente troverà le braccia per 10 o 15 euro al metro quadro. Ecco spiegata la paga da fame per i migranti: 5 o 6 euro per ogni ora lavorata”.
Ma, visitatori a parte, la Fiera è un fortino e i suoi cancelli, soprattutto quelli per merci e maestranze, si aprono solo se si è in possesso di un badge nominale. L’azienda vincitrice del primo appalto deve compilare una lista con i nominativi (con tanto di copia del documento d’identità e, in caso di migranti, del permesso di soggiorno) da consegnare all’Ufficio sicurezza dell’ente che poi emetterà i pass necessari per l’ingresso delle maestranze. Tutto bene quindi? “No – risponde un agente di sicurezza che sta passeggiando nei padiglioni in costruzione – perché, grazie ai nostri controlli, abbiamo potuto appurare che buona parte dei badge sono falsi: intestati a delle persone diverse dai possessori, che essendo clandestini non possono allegare nessun permesso di soggiorno”.
Il sistema dei pass è la prima scoperta che fece Saad quando giunse a Milano tre anni fa. “Ero appena arrivato dall’Egitto con un visto turistico e avevo un bisogno disperato di lavorare – racconta – Davanti alla metro ho conosciuto un mio paesano che prima di ha dato il suo badge per entrare e il giorno dopo me ne ha procurato uno con sopra i miei dati. Così ho iniziato a lavorare in Fiera”. Fra un lavoro e l’altro Saad studia italiano presso la scuola del centro sociale occupato La Fornace di Rho: “Sono stati loro a convincermi a parlare con i giornalisti, ma non mi convinceranno a denunciare perché, anche se è sfruttamento, a me quel lavoro mi serve per mangiare”. La Fornace è la bestia nera di Fiera Milano. Nel 2010 con un suo blitz riuscì a far sbloccare i pagamenti di 20 lavoratori della Bestunion, società che gestisce i tornelli di impianti come San Siro o il Dallara di Bologna, da sette mesi senza stipendio. “Abbiamo fatto irruzione denunciando la situazione, Enrico Pazzali (amministratore delegato di Fiera Milano, ndr) ci ha ricevuto e nel giro di sette giorni sono arrivati i soldi”, raccontano gli occupanti. Ogni manifestazione fieristica i militanti della Fornace, muniti di smartphone, si mettono a presidiare i cancelli per poi denunciare ai media le situazioni di illegalità. “Seguiamo con attenzione le loro attività – spiega un addetto alla sicurezza – ma spesso quando interveniamo in fiera becchiamo solo l’ultimo anello della catena che è il clandestino sfruttato”.
Oltre al sistema dei badge, è l’intero apparato di controllo e certificazione che fa acqua da tutte le parti. “Scm (il consorzio che appalta i lavori per la costruzione degli stand, ndr) verifica le credenziali fino all’appaltatore di secondo livello. Da quel punto in poi comincia l’oblio”, rivela la fonte interna. E la certificazione? E’ sempre la Fiera che fornisce l’attestato di corretto montaggio. Poco importa se chi ha materialmente istallato luci al led e maxi-schermi, l’abbia fatto in nero e senza diritti. I vertici dell’ente, interpellati dal fattoquotidiano.it, si sono detti consapevoli del problema, ma non hanno voluto rilasciare nessuna dichiarazione ufficiale.
Intanto la macchina inarrestabile della Fiera procede a pieno regime. Oggi i clandestini hanno lasciato il posto alle hostess sorridenti dietro i banconi, ma li ritroveremo presto. A partire da domenica sera quando cominceranno le operazioni di smontaggio.