L'ex calciatore è deceduto all'ospedale di Lucca a causa di un male incurabile. Aveva 64 anni, venne coinvolto nello scandalo scommesse del 1980, fu costretto a chiudere la carriera in anticipo e decise di svelare le storture del sistema scrivendo libri
Attaccava in campo, e ha attaccato fuori, sino all’ultimo, per denunciare il doping che aveva rovinato tantissime vite. Compresa la sua. Carlo Petrini, ex calciatore di Roma, Milan e Torino, è morto questa mattina a 64 anni, nell’ospedale di Lucca. Era stato ricoverato sabato scorso nel reparto oncologico, in condizioni gravissime. Il tumore contro cui Petrini lottava da anni era diventato troppo forte. E ha sopraffatto un uomo già devastato da un glaucoma, che gli era costato la quasi cecità all’occhio sinistro e seri problemi al destro.
Probabilmente, il prezzo dei tanti farmaci dopanti che il giocatore aveva assunto durante la sua carriera. Quei medicinali, e quelle pratiche, Petrini le aveva raccontate in un libro, “Nel fango del dio pallone” (Kaos Edizioni, 2000), ritratto scioccante del calcio italiano tra gli anni ’60 e ’80. Un mondo in cui Petrini aveva vissuto da protagonista, nella Serie A dove giocava come attaccante. Cresciuto nelle giovanili del Genoa, nel 1968 approdò al Milan di Rocco, con cui (da riserva) vinse la Coppa dei Campioni. Poi diverse squadre, tra cui Torino, Fiorentina e Roma. Nell’80, inciampò nello scandalo del calcio scommesse. Si prese tre anni e mezzo di squalifica, poi ridotti due grazie all’amnistia dell’82. Ma la sua carriera era ormai compromessa.
Chiuso con il calcio, aprì una società finanziaria. Andò malissimo, e scappò in Francia. Sarebbe dovuto tornare in Italia per rivedere il figlio, morente per un tumore, ma non fece in tempo. Povero e malato, decise di raccontare la melma dietro i lustrini del campionato. “Iniezioni e flebo, vent’anni fa prendevamo di tutto: al confronto ormoni e creatina sono caramelle” la sintesi cruda delle sue denunce. Non solo sul doping. Petrini ha parlato spesso e molto di calcioscommesse. L’ultima accusa l’aveva lanciata poche ore fa, nel programma Le Iene: “Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980 fu truccata, le due società si misero d’accordo e chi quel giorno non avesse accettato quell’accordo non avrebbe giocato”.
Erano subito arrivate diverse smentite. Ma spesso le sue bordate venivano accolte da un imbarazzato silenzio. Nel 2001 pubblicò “Il calciatore suicidato“, libro-inchiesta sulla misteriosa morte del calciatore del Cosenza Donato Bergamini. Ufficialmente un suicidio, di fatto un caso su cui i magistrati sono tornati a indagare, perché troppe cose non tornavano. Petrini nel suo scritto fu chiaro: “Bergamini venne ucciso dalla criminalità organizzata”. Niente metafore, nei suoi libri. L’ultimo, “Piedi nudi“, era uscito nel 2010. Qualche volta interveniva nelle radio, dalla sua Monticiano (Siena), dove si era ritirato da anni. Lo stesso paese di Luciano Moggi, da cui era tanto diverso. Petrini viveva in povertà, stremato da cinque interventi agli occhi e dal tumore. Oggi se ne è andato, ma rimarranno le sue parole. Come dita puntate, contro il pallone che non vuole vedersi dentro.