Sono andato al cinema a vedere “Poker Generation”.
Tanti amici giocatori che interpretano loro stessi, una location che suscita in me bei ricordi e un Filippo Candio, il campione di poker a cui è vagamente ispirato il personaggio del protagonista, che a sorpresa risulta essere anche un discreto attore.
E poi? Poco altro purtroppo.
Non c’è il cast di “Regalo di Natale”, non c’è l’umorismo di “Asso”, non c’è la musica de “La stangata” e siamo lontanissimi dalla sceneggiatura di “Rounders”, ad oggi il miglior film sul poker.
Non deve essere piaciuto molto nemmeno al senatore Raffaele Lauro, che ha proposto in Parlamento di vietarne la visione ai minori, facendo, di fatto, pubblicità gratuita al film. Un’azione abbastanza singolare, considerato il fatto che in Italia possono giocare solo i maggiorenni e soprattutto che il governo di cui ha fatto parte in questi anni ha prima legalizzato il poker online a torneo e poi ampliato l’offerta alla modalità cash game con la scusa di raccogliere soldi per la ricostruzione de L’Aquila.
Poker Generation è una favoletta, a tratti avvincente, con un prevedibile lieto fine. Non dico che racconti una vicenda impossibile, anzi; nel 2003 Chris Moneymaker (un nome, un destino) si qualificò al campionato del mondo tramite un satellite online da poche decine di dollari e ne vinse due milioni e mezzo.
Capisco anche la necessità di fare spettacolo ma nel film la si fa davvero facile, troppo facile; e questo non rende giustizia né al poker né a chi lo gioca.
Nella vita reale uno su dieci vince e uno su mille ci campa; e chi ci campa di sicuro non scommette ogni volta tutto quello che ha, come fanno i protagonisti del film.
Una curiosità, nel 2011 gli italiani hanno speso per andare al cinema più di 650 milioni di euro e meno di 550 per giocare a poker online (meno di 25€ a famiglia).
Questo forse dovrebbe portare tutti a riconsiderare il poker per quello che è per la stragrande maggioranza delle persone: puro intrattenimento. Alla stregua del cinema.