La compagnia di navigazione campana ormai è come una nave che affonda con 13mila investitori a bordo e un buco da un miliardo di euro. La Finanza indaga su trust e fiduciarie a Lussemburgo, Malta, Madeira dietro le quali ci sarebbero i familiari dei fondatori della società
L’informativa delle fiamme gialle napoletane, che lavorano in parallelo con i colleghi della compagnia di Torre del Greco, impegnate sul versante dei rapporti tra compagnia e risparmiatori, rappresenta un nodo cruciale delle indagini, scattate anche per tutelare le parti lese. La prima istanza di fallimento di Deiulemar si discute il 18 aprile, per un debito di circa 230mila euro. In teoria poca roba per mandare a picco una società che fino al 2010 macinava fatturati da oltre un miliardo. In pratica, si tratta solo la prima crepa del crac imminente. Che farà molto rumore, e manderà in ginocchio una città intera.
A Torre del Greco, quasi 90mila abitanti in zona rossa a rischio Vesuvio, non c’è famiglia che negli ultimi 40 anni non abbia un parente o un amico che ha trasformato il suo gruzzoletto in obbligazioni della “banca privata” Deiulemar. Una raccolta che ha garantito rendimenti fino a 5 punti superiori a quelli bancari. Arricchendo chi ha fatto in tempo a ritirare capitale e interessi. Ora però quelle obbligazioni sono poco più di cartaccia. Per molti, dovevano rappresentare il riparo per un momento di crisi. La crisi è arrivata e i piccoli risparmiatori hanno fatto la fila alla porta degli eleganti uffici di via Tironi, a pochi passi dalla villa del primo Capo dello Stato Enrico De Nicola, chiedendo di ritornare in possesso della liquidità. Tra rifiuti e contestazioni sull’autenticità dell’obbligazione (spesso, una semplice ricevuta), e al termine del censimento degli obbligazionisti, che ha certificato un’esposizione della società di circa 700 milioni di euro fuori bilancio, è emerso un meccanismo incredibile di raccolta del risparmio senza controlli, senza regole e senza lamenti.
I soldi andavano a finire nei conti personali di uno dei fondatori, l’88enne Michele Iuliano. E le banche si sono guardate bene dal segnalare agli organismi di vigilanza i flussi anomali di contante. Così era Iuliano, uno dei tre armatori che nel 1969 diede vita alla compagnia insieme a Giovanni Della Gatta e Giuseppe Lembo (Deiulemar è l’acronimo dei loro cognomi) a garantire il pagamento degli interessi. Era Iuliano il frontman tra la compagnia e la città. Ed è tuttora Iuliano, pur dimessosi da amministratore, a lanciare appelli alla calma, annunciando ai risparmiatori inferociti che i debiti potrebbero essere coperti, sia pur solo parzialmente, dalle risorse e dai beni personali delle famiglie dei soci fondatori.
Resta da capire quali siano questi beni. E se si stia giocando pulito. Se invece la maggior parte dei profitti fosse scomparsa all’estero? E’ la domanda sottintesa delle conclusioni della Guardia di Finanza di Napoli, al termine di una verifica fiscale iniziata nel giugno 2011. Il rapporto segnala che l’inizio dello svuotamento del patrimonio di Deiulemar inizia nel 2005, quando la società madre trasferisce 11 navi alla quasi omonima Deiulemar Shipping, per un valore di circa 163 milioni di euro.
Si avvia la girandola delle fiduciarie – Poseidon International, Poseidon Finance, Sbf, Hamburg, Azzurro – e dei tre trust. Al centro dello ‘schema’ la società lussemburghese Lamain e una call option di vendita. Tutto studiato per approfittare della direttiva fiscale “madre-figlia”, risparmiare tasse, e fare scomparire il denaro chissà dove. Almeno così ipotizza la Finanza. Mentre il pm Sergio Raimondi e l’ex procuratore capo Diego Marmo, che alla scadenza degli 8 anni di guida dell’ufficio ha rinviato la pensione ed è rimasto in servizio da semplice sostituto per cercare di chiudere i fascicoli più delicati come questo, proseguono le loro indagini. Intanto i risparmiatori organizzano cortei e si attrezzano per proteste clamorose. Con la speranza di recuperare qualcosa prima che sia troppo tardi.