Le dico: Chi meglio di te può raccontare un episodio di lotta partigiana? Il 25 aprile ha bisogno di storie vere. Mi dice: Va bene, ma non voglio, e me lo devi promettere, che compaia il mio nome. Te lo prometto, rispondo.Io non dico mai Ho fatto la Resistenza. Io dico sempre: Abbiamo fatto la Resistenza, precisa ancora lei, la vecchia partigiana comunista.
Primavera del 1944. La vecchia partigiana comunista è una giovane attivista comunista. Bella. Ha letto libri proibiti. Ha la tessera del Pci, presa nel1943. Ha coraggio, soprattutto.Ma non è l’unica ad averne. E poi. Per le donne è più facile fare attivismo politico. I fascisti le ritengono inoffensive, e prestano attenzione solo agli uomini; così per loro è più facile far girare il materiale della propaganda o passare i posti di blocco. Un giorno di maggio a Vercelli si viene a sapere che quattro giovani, renitenti alle leva, sono stati condotti dal carcere in questura; dalla questura – è già successo – verranno condotti al camposanto per essere fucilati. In una fabbrica, si chiama Setvis e produce oggetti di plastica, una decina di donne, coordinate dalla giovane attivista comunista, decide di sfidare le autorità. Scioperando. Si rischia grosso a scioperare. Ti possono licenziare, picchiare, imprigionare, interrogare, magari mettere al muro.
Il terribile prefetto Morsero (che verrà fucilato dai partigiani) incute una paura bestia, basta pronunciare il suo nome, “Morsero”, e vengono in mente il camposanto e le esecuzioni. Il gruppetto di donne, però, è deciso. Raggiunge un’altra fabbrica, la Roy, che produce cartoni, entra dentro e alle operaie al lavoro viene spiegato di quei ragazzi, che possono essere fucilati, da un momento all’altro. Anche alla Roy il lavoro si ferma. E le donne, in strada, si dirigono verso un’altra fabbrica, la Faini, dove si fanno tessuti. Aderiscono allo sciopero anche qui. Il gruppo s’ingrossa. Ma non basta. E si dirige verso la quarta fabbrica, la Sambonet (posateria pregiata). Qui non serve entrare per spiegare: ci ha già pensato un’altra giovane attivista comunista (Maria Scarparo). E le donne della Sambonet scendono in strada a raggiungere le altre. Ma arriva anche la polizia. E un carro armato.
A dirigere il traffico c’è un maresciallo fascistissimo.Sa chi è stato a organizzare lo sciopero: la giovane attivista comunista.La guarda in faccia e le domanda: Perché questa cagnara? Perché siamo stanche di vedere i nostri ragazzi che vengono fucilati.Hai ragione, dice il maresciallo, che aggiunge: Ma dimmi, faresti la stessa cosa se i sei ragazzi fossero fascisti? No, dice lei. Arrestatela, dice lui. C’è silenzio, paura.La messa è finita torniamo a lavorare con la coda in mezzo alle gambe?, pensano le operaie scese in strada. Mentre i poliziotti si avvicinano alla giovane attivista, una voce (una donna tra le tante) dice: Donne, non lasciamo che portino via questa ragazza. (Lo dice in dialetto: Donne, lasuma nen purtè via sa mata).Il silenzio di prima è diventato trambusto, confusione, la giovane attivista rossa si ritrova in bicicletta, che pedala lontano, mentre le donne fanno scudo e impediscono ai poliziotti di rincorrerla.
E infine: una commissione di donne chiede di essere ricevuta dal prefetto Michele Morsero. Che acconsente. Che le sta ad ascoltare, stavolta. Che stupisce tutta la città perché dà l’ordine di non fucilare i quattro ragazzi.
La vecchia partigiana ha finito. Mi ripete la frase che le ha salvato la vita. Donne, lasuma nen purtè via sa mata. Dice: Mi sembra di risentirla, quella voce.