L'acquisto della casa di Borgo Panigale vuol dire soprattutto fare la guerra alla Bmw: così i bolidi prenderanno sempre più l'aspetto di due ruote da gran turismo
Dall’annuncio della messa in vendita era sembrato subito chiaro che la diatriba sarebbe stata tutta tedesca. Bmw tuttavia si era presto tirata indietro. Nel settore delle motociclette la casa bavarese è già infatti una potenza consolidata, soprattutto nelle moto da turismo, e forse non aveva interesse ad assumersi gli oneri di un’impresa comunque ardua.
Tra i contendenti per il marchio rimaneva Mercedes, che aveva già in mano una partnership con Ducati. Le possibilità che fosse lei la predestinata sembravano molto alte. Ma rimaneva soprattutto Volkswagen, che alla fine attraverso l’Audi, già presente in Emilia con Lamborghini, si è fatta avanti per conquistare ciò che in assoluto le manca nella battaglia contro Bmw: le motociclette.
Certo, lo stabilimento emiliano dovrà cominciare ad allargare i suoi orizzonti. Probabilmente le rosse targate Audi inizieranno a concorrere con le moto granturismo, in cui Bmw è una potenza quasi secolare. Tuttavia se la casa dei quattro cerchi è arrivata a sfiorare il miliardo per l’acquisto i nuovi padroni di Borgo Panigale devono avere fatto bene i loro conti.
Alla Ducati intanto, terra dell’ennesima conquista, è la fine di un’era durata quasi 20 anni. Due decenni passati attraverso speculazioni finanziarie e quotazioni in borsa e una certezza che nessuno osa mettere in discussione: tutto sommato, vista la valle di lacrime in cui si è trasformata l’Emilia dei motori, il marchio ha tenuto. E adesso, è la speranza di tutti, non potrà che andare meglio, visto che la casa per la prima volta dal 1985 ritorna in mano a un gruppo industriale.
Dal 1996 infatti, anno in cui la Cagiva di Varese si liberò del marchio per sanare i propri debiti, la casa motociclistica emiliana era sempre stata in mano ai fondi finanziari. Prima l’americana Texas pacific group, un private equity durante la gestione del quale la rossa di Borgo Panigale finì anche quotata in borsa a Milano e New York. Esattamente a distanza di dieci anni l’arrivo dell’Investindustrial, il fondo guidato da Andrea Bonomi, durante il quale Ducati ha continuato a esportare soprattutto e sempre di più in America, occupando il 10 % dell’intero mercato globale con circa 40 mila moto vendute. La moto di lusso infatti non ha conosciuto i cali della crisi partita nel 2008, che ha messo in ginocchio la motor valley emiliana. Degli oltre 10 mila lavoratori del settore dei motori nella regione, almeno la metà ha vissuto sulla propria pelle gli ammortizzatori sociali, o peggio i licenziamenti.
Ma ora anche i sindacati sembrano tirare un sospiro di sollievo: “Negli anni di Bonomi Ducati ha continuato a mantenere una nicchia di mercato, promuovendo il marchio, ma ora c’è bisogno di più, di una strategia industriale che un colosso come Audi può garantire”, spiega Bruno Papignani, leader della Fiom-Cgil bolognese. E poi i tedeschi sono una garanzia a livello sindacale. “È da anni che per esempio lottiamo per l’asilo nido” dice Salvatore Berarducci, operaio nello stabilimento a Borgo Panigale “se non ce lo danno i tedeschi che queste cose le hanno inventate, chi ce le dovrebbe dare?”. E poi l’Audi qui la conoscono bene tutti visto che è già in Emilia da tempo, da quando nel 1998 prese in mano la Lamborghini di Sant’Agata Bolognese. “Un’esperienza modello per le relazioni sindacali” spiega Papignani.
La casa di Ingolstadt, secondo le prime indiscrezioni al di là dei comunicati ufficiali, vorrebbe continuare a produrre in Italia, dissipando i timori di una delocalizzazione, magari nell’est Europa o in Asia, che la gestione di Investindustrial aveva iniziato già nel 2011. Lo scorso anno infatti uno stabilimento è stato aperto in Thailandia, mentre i vertici Ducati continuavano a lamentare le difficoltà della burocrazia italiana contro la fluidità dei paesi emergenti.
Il nuovo amministratore delegato al posto dell’attuale Gabriele Del Torchio (forse gli si troverà un altro ruolo di affiancamento) dovrebbe essere Luca De Meo, un ex manager di Fiat ora direttore del marketing alla Volkswagen. Un modo per mantenere l’italianità dell’azienda. Una purezza italiana che peraltro neppure nell’epoca appena conclusasi Ducati poteva vantare. Innanzitutto perché il 30 % era in mano a dei gruppi finanziari nordamericani (che passeranno la mano anch’essi ad Audi). Poi perché il fondo Investindustrial di italiano aveva solo la mente e all’epoca degli acquisti era controllato dal Jersey e oggi dal Lussemburgo. Una potenza finanziaria che ora, dopo la scalata alla Banca popolare di Milano del 2011, ha ben altro a cui pensare.