La crisi non demorde, anzi si aggrava ogni giorno di più perché i tagli del Governo Monti stanno infierendo sul corpo di un’economia già in grave recessione, allora quali potrebbero essere i rimedi per un Paese che deve necessariamente riattivare il suo sistema produttivo?

Tra i settori che potrebbero contribuire a una ripresa economica e occupazionale, e nello stesso tempo a contenere le emissioni inquinanti, c’è la produzione di energie da fonti rinnovabili, eppure, paradossalmente, proprio in questo ambito il Governo sembra orientarsi a rendere il quadro più incerto, riducendo la remunerazione dei benefici del “conto energia” così da ridurre la propensione ad investire da parte degli operatori.

Una realtà nuova e dinamica con molte imprese locali che occupano più di centomila unità e che potrebbe ulteriormente espandersi, in cui per di più, abbiamo da colmare un forte deficit strutturale, essendo dipendenti dall’importazione di petrolio e gas, mentre siamo ricchi di una delle più grandi riserve energetiche, il sole, in quantità superiore ad ogni altro paese europeo, e che non sfruttiamo in tutte le sue potenzialità.

Jeremy Rifkin nella sua idea di terza rivoluzione industriale ha profetizzato la nascita di una nuova società basata sull’auto produzione energetica e quindi su una diffusione capillare (e democratica) di tutti i sistemi di produzione e distribuzione, una società basata sull’uso razionale delle risorse, una società che supera l’idea che benessere discenda solo dallo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, dallo sviluppo senza limiti dei consumi materiali e quindi dalla mera produzione di beni.

Oggi, tecnologicamente, questa trasformazione sarebbe già possibile, ed esistono esempi diffusi di comunità indipendenti dal punto di vista energetico che realizzano la propria economia impegnandosi per l’obiettivo di zero emissioni, che costruiscono abitazioni con sistemi di risparmio ed efficienza energetica,attuano il riciclo e il riuso dei materiali per risparmiare materie prime, che preferiscono i trasporti collettivi, la mobilità dolce, l’autoconsumo, la difesa del territorio e dei beni comuni, usano una moneta locale a supporto della propria economia che integra e in qualche caso sostituisce quella ufficiale.

Questo tipo di scelte parte dal presupposto che per l’autorità politica (Governi Regioni, Comuni) non è più prioritaria la valorizzazione della rendita immobiliare e dell’uso dell’auto privata come mezzo di locomozione principale, al contrario si favoriscono tutte le forme possibili di economia della decrescita, cioè il risparmio pubblico e privato, la conservazione dell’aria, dell’acqua e del territorio come beni comuni indisponibili per attività dannose all’interesse generale.

Nel concreto, anche in realtà urbane si potrebbero cominciare a sperimentare queste forme di autogoverno, anche in una città divisa in quartieri, se le circoscrizioni avessero un’ampia autonomia e responsabilità rispetto al raggiungimento di obiettivi ambientali condivisi, attraverso bilanci partecipativi, gruppi di gestione dei cittadini, risorse economiche decentrate, in misura necessaria e non certo con l’ottica di diffondere gli sprechi.

Anche a Bologna ad esempio, dove c’è una forte tradizione d’impegno nei quartieri, si potrebbero delegare funzioni di governo effettivo per obiettivi, (ad esempio) come per la pedonalizzazione: invece di concentrare i progetti di fine settimana pedonali (concepiti come un magnanimo dono ai cittadini calato dall’alto) solo nei “magici T-days”, si potrebbero favorire circuiti pedonali decentrati sperimentali e poi, se funzionano, renderli definitivi, così da diffondere il concetto del non uso dell’auto in zone sempre più ampie!

Ad Amsterdam, per citare un esempio che conosco, non c’è un’arteria di collegamento sia vecchia che nelle nuove zone d’espansione, che non sia concepita con piste ciclabili e percorsi pedonali protetti, limiti di venticinque chilometri l’ora per le auto, tram in corsie protette e allegramente sferraglianti per tutte le strade del centro senza alcuna limitazione; in quella bella città le auto esistono ma occupano uno spazio urbano limitato, sono “minoranza”, non come da noi dove ancora questa deprimente civiltà dell’auto, oltretutto senza più quasi industrie dell’auto, produce solo inquinamento, traffico, incidenti e bassa qualità della vita.

Tornando alla crisi, non credo francamente che la risolveranno i “professori”, non perché non avrebbero forse le qualità individuali, non la risolvono perché questa crisi ha bisogno, per essere combattuta, di una rivoluzione nella coscienza collettiva e nella cultura di governo, l’Italia ha bisogno di valorizzare le forze di un cambiamento d’orizzonti, spostando l’asse da una visione superata dell’economia e della società oggi perdente a un’altra socialmente giusta e ambientalmente evoluta.

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