Grazie a una falla nel decreto “Salva Italia”, gli azzurri verso l’en plein per l’imminente rinnovo dell'agenzia. Sul tavolo il bando per l’asta dei segnali tv, ma l’ex premier rischia di dettare legge anche su par condicio, Internet e pubblicità
Come? Grazie all’articolo 23 del decreto “Salva Italia”, approvato dalle Camere lo scorso dicembre, che prevede la riduzione dei commissari Agcom da otto a quattro, lasciando però inalterati i criteri per la loro nomina. Così se prima ogni parlamentare poteva esprimere il voto indicando due nominativi, “uno per la commissione infrastrutture e reti, l’altro per la commissione servizi e prodotti”, ora potrà votarne, sempre a maggioranza semplice, solo uno. Il risultato è che, escluso il presidente (di nomina governativa), almeno due dei quattro nuovi membri dell’organismo, (per esempio i due della commissione prodotti, quella che si occupa di tv), saranno diretta espressione del gruppo parlamentare più forte, quello del partito di Silvio Berlusconi. Con buona pace dell’assoluta imparzialità, autonomia e indipendenza di giudizio. Regole che, secondo statuto, sono il fondamento stesso dell’Agcom.
Il rinnovo dell’autorità si intreccia con la battaglia di Mediaset e Pdl contro le decisioni del governo: da una parte il duo Passera-Monti con un emendamento ha confermato il tetto europeo di cinque super-frequenze digitali per emittente facendo saltare i nervi a Confalonieri e soci che di multiplex ne hanno già cinque (quattro televisivi più uno dati, ma convertibile in segnale classico per le antenne). Dall’altra l’esecutivo ha dato l’estrema unzione al beauty contest (il meccanismo messo a punto dall’ex ministro Romani che regalava ulteriore capacità trasmissiva al Biscione) annunciando un’asta competitiva che si terrà entro 120 giorni.
Oggi il presidente dell’impero televisivo di B. tuona contro Palazzo Chigi dicendo che sono stati fatti fuori per ragioni politiche, ma sa benissimo che il disciplinare di gara, e cioè le regole del bando per l’assegnazione delle frequenze all’asta, sarà scritto da un Agcom sulla quale il Pdl avrà il controllo. Sarà quindi molto difficile leggere un testo che metterà i bastoni fra le ruote a Cologno Monzese.
Il primi a rendersi conto della stortura contenuta nel “Salva Italia” sono stati il commissario Agcom Nicola D’Angelo e il senatore del Pd Luigi Zanda. L’esponente democratico ha anche presentato un emendamento (respinto) in cui chiedeva che fossero cambiati i criteri di nomina alla luce dell’entrata in vigore del decreto governativo. Secondo il parlamentare, il rischio maggiore è che la commissione servizi e prodotti, quella che nello specifico si occupa di televisione, diventi un monocolore azzurro. Tant’è che le frequenze sono solo una delle partite legate alla composizione futura dell’Authority: quella commissione infatti si occupa anche di garantire le norme sull’applicazione della par condicio (in periodo elettorale e non), vigila sulle regole per la tutela dei minori, monitora la rilevazione degli indici d’ascolto delle emittenti. E soprattutto controlla le modalità di distribuzione della pubblicità, settore in cui le aziende di Silvio Berlusconi hanno più di un interesse.
Ma c’è di peggio. come denuncia D’Angelo, compito della nuova Autorità garante sarà anche quello di scrivere le normative della governance di Internet: “Dalle regole d’accesso alla rete telematica alla tutela del diritto d’autore sul web. Strumenti essenziali per la democrazia di oggi”.
Riuscirà una futura Agom ipotecata dal Pdl a garantire libertà, pluralismo e libera concorrenza in televisione e sul web? Difficile crederlo. Soprattutto se si guarda la storia recente di alcuni commissari eletti dal Popolo delle libertà. Come Giancarlo Innocenzi, pizzicato dai magistrati al telefono con Berlusconi mentre gli intima di trovare una soluzione per far chiudere Annozero. Costretto alle dimissioni dopo lo scoppio del Trani-gate, a settembre 2010 i senatori azzurri trovano il suo sostituto: Antonio Martusciello, ex dirigente di Publitalia 80 (concessionaria del gruppo Fininvest), fondatore nel 1994 della sezione napoletana di Forza Italia, da allora parlamentare e più volte al governo. Uno specchiato esempio di imparzialità berlusconiana nella scelta dei componenti dell’autorità di garanzia.