Il gruppo laico di Comunione e Liberazione di cui fa parte il governatore vive in comunità e condivide anche i soldi. E fa voto di povertà, oltre che di castità e di obbedienza ai superiori
Il più noto dei Memores è Formigoni, che ha rinunciato alla famiglia e vive in comunità, con gli orari scanditi dalla preghiera, dalle Lodi mattutine alla Compieta serale. Con altri tre Memores abita in una bella casa in via Villani, a Milano. Proprietario, Salvatore Ligresti (“Ma pago un sacco di soldi d’affitto per stare lì”, ha dichiarato). Il voto di povertà lo obbliga a non avere la proprietà personale di denaro o beni: tutto è in comune. La sua dichiarazione dei redditi segnala le entrate della sua “indennità di carica” regionale: 188.389 euro. In proprietà, formalmente, ha due noni di quattro appartamenti in un condominio di Lecco, la città dov’è nato, e un terzo di un bilocale a Sanremo, oltre a una Fiat Multipla del 2008. Ma se “il frate è povero, il convento è ricco”, si potrebbe dire rovesciando la vecchia fulminante battuta di Rino Formica sul Psi di Bettino Craxi. È ricco perché dotato di una cassa comune a cui i singoli possono attingere. La cassa comune può assumere la forma, un po’ naif, di una scatola zeppa di banconote, una “cassetta di legno, di quelle che contengono le bottiglie di whisky”: la descrive così al pm di Milano Alfredo Robledo (che stava indagando sui soldi di Oil for food) Alberto Villa, uno dei Memores che hanno diviso con Formigoni la villetta di via Villani. Da quella scatola, Villa, che ha solo il suo stipendio da insegnante, sostiene di aver prelevato, nel 2002, 10 mila euro in contanti: la sua quota per comprare Obelix, la barca di cui risultano proprietari Formigoni, il suo collaboratore Marco Mazarino De Petro e un gruppo di appartenenti ai Memores. Quando il pm gli fa notare che lui non risulta tra i proprietari della barca, Villa cade dalla nuvole: “Lo apprendo ora”. Caso unico di non-proprietario, pur pagante, a sua insaputa. Per queste dichiarazioni al magistrato, Villa nel febbraio 2012 è stato condannato in primo grado a quattro mesi di carcere, per false dichiarazioni al pubblico ministero. Stessa pena, stesso reato, per un altro dei Memores che vivono con Formigoni: Alberto Perego. E qui arriviamo al personaggio centrale del Cerchio Magico di Formigoni (con Pierangelo Daccò e Antonio Simone). Di professione commercialista, Perego è colui che gestisce la “cassa comune” del gruppo. Non una scatola di legno sotto il letto, bensì una sofisticata rete di società offshore. L’ultima rogatoria in Svizzera di Robledo ha accertato che proprio Perego (che ha mentito negandolo) era il titolare di un conto presso la Bsi di Chiasso denominato “Paiolo”. Ed era sua anche la società Candonly, uno strumento finanziario dalla storia complicata. Nasce a Dublino, poi viene trasferita a Londra, infine in Olanda. Ha, nel tempo, conti alla Lgt Bank di Vaduz, alla Bsi di Zurigo, alla Beirut Ryad Bank e Barclays Bank di Londra, alla Ing Bank di Amsterdam.
A un certo punto, in Candonly Perego viene affiancato da un altro Memores, il segretario di Formigoni Fabrizio Rota, poi i due sono sostituiti da De Petro. Sempre di Perego è anche il sancta sanctorum del sistema finanziario di Formigoni, la Fondazione Memalfa (chiusa dopo essere stata scoperta dai magistarti). Nata nel 1992 a Vaduz, in Liechtenstein, ha come beneficiari economici, ciascuno al 50 per cento, Alberto Perego e Fabrizio Rota. Lo statuto prevede che alla morte di uno dei due beneficiari, il patrimonio venga assegnato interamente all’altro e, alla morte di entrambi, alla Associazione Memores di Massagno, filiale svizzera dell’associazione, con sede in un sobborgo di Lugano. Su Paiolo e sui conti delle tre Candonly e di Memalfa passano, negli anni, fiumi di soldi. A Candonly arrivano 829 mila dollari versati da una società del gruppo Finmeccanica, Alenia Marconi. Secondo il direttore di Alenia, Giancarlo Elmi, sono un “ringraziamento” per un appalto da 20 milioni di dollari in Iraq (affare che però non è mai andato in porto). Vi affluiscono anche oltre 700 mila dollari pagati da Cogep, una società che “ringrazia” Formigoni per le assegnazioni di petrolio iracheno ottenute grazie ai buoni rapporti del presidente lombardo con il cattolico Tareq Aziz, braccio destro di Saddam. Sempre a Candonly arrivano, oltre a misteriosissimi soldi che provengono da Cuba e dall’Angola, 50 mila euro versati da Agusta, che nel 2003 vende un elicottero alla Regione Lombardia. Scoperta questa rete, la “cassa comune” è passata di mano: a gestirla, secondo i pm, ora sono personaggi come Piero Daccò, o come Antonio Simone.
da Il Fatto Quotidiano del 19 aprile 2012