Con un piccolo sforzo di indignazione civile e con un fotogramma -benedetta la crescente possibilità di fare foto e video- un bravo collega è riuscito a creare un caso sui due tunisini espulsi e costretti a viaggiare incerottati. Bene, siamo ancora un paese con grandissime risorse di civiltà e di umanità, se questo episodio è diventato un caso su tutti i media. Non si trattano così nè i fermati, nè i carcerati, nè gli espulsi.
Ma a me la vicenda ha suggerito altre riflessioni. Per i due rimpatriati a forza la cosa peggiore è stata proprio quella di dover tornare in patria senza poter più fare ritorno in Italia (credo si tratti di un termine di almeno 5 anni), più che il cerotto. E’ quello che succede ad alcune migliaia di persone all’anno, spinte via a forza da un paese della speranza, in cui però non sono riuscite a inserirsi e ad essere riconosciute. E lo spettro di quella espulsione coatta inquieta quasi permanentemente molte più persone -più centinaia che decine di migliaia- che si vedono negata in Italia ogni possibilità di regolarizzazione, che non vengono di fatto espulsi ma che al tempo stesso sono costretti a vivere tra la condizione del fantasma e quella del cittadino di serie B.
Aiutiamoli a casa loro, ovvero aiutiamoli a tornare a casa, han detto per anni le destre e in generale tutti i sostenitori di una gestione severa della presenza degli extracomunitari. Parole a vuoto, buone solo a far da alibi-pretesto per qualche ragionamento a favore delle espulsioni. Chi davvero ha lavorato sul tema: aiutiamoli a tornare ? Temo pochissimi o nessuno. Direi di più: ammesso che ci sia da “aiutare a tornare”, questo andrebbe inteso non come armamentario sbirresco per rimpatri coatti, ma come un lavoro di formazione e cooperazione per poter alleviare la frustrazione di tornare a casa senza quei soldi che si presumeva di poter guadagnare e mettere da parte in Italia. Tanto si è lavorato, discusso, immaginato, recitato, ripreso, litigato sul tema dell’arrivo/non arrivo, ingresso/non ingresso, accettazione/non accettazione dell’extracomunitario e tanto poco si è invece lavorato sul tema del ritorno, parziale e provvisorio o totale e definitivo che esso sia.
Mi fa impressione quando sento i giovani immigrati che preferiscono una vita di stenti e di rischi continui qua in Italia , che affermano di non poter sopportare neanche l’idea di tornare alla terra d’origine; non ora, non così. Eppure tutti vogliono tornare, almeno per un periodo, a riabbracciare la città e la famiglia d’origine. Su questa apparente contraddizione bisognerebbe lavorare seriamente, seriamente intendo dai punti di vista sociologico ed amministrativo, per far partire da subito dei progetti di aiuto al ritorno. Non per cacciarli via – con o senza cerotto – ma per aiutarli a sdrammatizzare quella che ora vedono solo come una umiliazione.
Noi buoni o buonisti che non amiamo le espulsioni con o senza cerotto dovremmo riflettere di più sul tema di sdrammatizzare e aiutare il ritorno, in una strategia di normalizzazione vera dei rapporti tra le sponde del Mediterraneo.
Paolo Hutter
Giornalista, ambientalista
Cronaca - 19 Aprile 2012
Rimpatriati, il problema non è solo il cerotto
Con un piccolo sforzo di indignazione civile e con un fotogramma -benedetta la crescente possibilità di fare foto e video- un bravo collega è riuscito a creare un caso sui due tunisini espulsi e costretti a viaggiare incerottati. Bene, siamo ancora un paese con grandissime risorse di civiltà e di umanità, se questo episodio è diventato un caso su tutti i media. Non si trattano così nè i fermati, nè i carcerati, nè gli espulsi.
Ma a me la vicenda ha suggerito altre riflessioni. Per i due rimpatriati a forza la cosa peggiore è stata proprio quella di dover tornare in patria senza poter più fare ritorno in Italia (credo si tratti di un termine di almeno 5 anni), più che il cerotto. E’ quello che succede ad alcune migliaia di persone all’anno, spinte via a forza da un paese della speranza, in cui però non sono riuscite a inserirsi e ad essere riconosciute. E lo spettro di quella espulsione coatta inquieta quasi permanentemente molte più persone -più centinaia che decine di migliaia- che si vedono negata in Italia ogni possibilità di regolarizzazione, che non vengono di fatto espulsi ma che al tempo stesso sono costretti a vivere tra la condizione del fantasma e quella del cittadino di serie B.
Aiutiamoli a casa loro, ovvero aiutiamoli a tornare a casa, han detto per anni le destre e in generale tutti i sostenitori di una gestione severa della presenza degli extracomunitari. Parole a vuoto, buone solo a far da alibi-pretesto per qualche ragionamento a favore delle espulsioni. Chi davvero ha lavorato sul tema: aiutiamoli a tornare ? Temo pochissimi o nessuno. Direi di più: ammesso che ci sia da “aiutare a tornare”, questo andrebbe inteso non come armamentario sbirresco per rimpatri coatti, ma come un lavoro di formazione e cooperazione per poter alleviare la frustrazione di tornare a casa senza quei soldi che si presumeva di poter guadagnare e mettere da parte in Italia. Tanto si è lavorato, discusso, immaginato, recitato, ripreso, litigato sul tema dell’arrivo/non arrivo, ingresso/non ingresso, accettazione/non accettazione dell’extracomunitario e tanto poco si è invece lavorato sul tema del ritorno, parziale e provvisorio o totale e definitivo che esso sia.
Mi fa impressione quando sento i giovani immigrati che preferiscono una vita di stenti e di rischi continui qua in Italia , che affermano di non poter sopportare neanche l’idea di tornare alla terra d’origine; non ora, non così. Eppure tutti vogliono tornare, almeno per un periodo, a riabbracciare la città e la famiglia d’origine. Su questa apparente contraddizione bisognerebbe lavorare seriamente, seriamente intendo dai punti di vista sociologico ed amministrativo, per far partire da subito dei progetti di aiuto al ritorno. Non per cacciarli via – con o senza cerotto – ma per aiutarli a sdrammatizzare quella che ora vedono solo come una umiliazione.
Noi buoni o buonisti che non amiamo le espulsioni con o senza cerotto dovremmo riflettere di più sul tema di sdrammatizzare e aiutare il ritorno, in una strategia di normalizzazione vera dei rapporti tra le sponde del Mediterraneo.
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".