250mila sterline per un incontro con il Primo Ministro: è successo in Gran Bretagna e, appena emerso, ha portato alle immediate dimissioni del tesoriere del partito Conservatore Peter Cruddas.

Alcuni reporter sotto copertura, fingendosi potenziali finanziatori, hanno girato un filmato che mostra Cruddas offrire accesso a pagamento al capo del Governo, dicendo che 250mila sterline avrebbero consentito un ingresso ‘premier league’, inclusa una cena con Cameron e la possibilità di influenzare la politica del governo. La risposta del Primo Ministro alla pubblicazione del video è stata netta: “This is not the way that we raise money in the Conservative Party, it shouldn’t have happened”. (Questo non è il modo in cui raccogliamo soldi nel partito Conservatore, non sarebbe dovuto accadere.)

Come prevedibile, è nata immediatamente una discussione sul finanziamento ai partiti. Il Leader del Labour party Ed Miliband ha proposto un tetto annuo di 5mila sterline sulle donazioni individuali, mentre altre limitazioni si applicherebbero alle donazioni provenienti dai sindacati, i più grossi sostenitori del partito. Sir Christopher Kelly, il presidente della Commissione independente sugli Standards in Public Life che aveva condotto un’indagine sul finanziamento ai partiti, aveva proposto un limite sui finanziamenti di 10mila sterline a persona, mentre i Conservatori ne vogliono uno di 50mila sulle donazioni individuali. Per inciso, il partito laburista si finanzia per il 40% tramite gli iscritti, un altro 40% tramite i sindacati, mentre il resto proviene da donatori individuali.

Insomma, la discussione qui verte su come ridimensionare il peso del ‘big money’ e delle lobby sulla politica e sui processi decisionali, in un paese dove non esiste il finanziamento pubblico ai partiti.

Il tema, qui come in Italia come del resto in tutta Europa, è quello di ricostruire fiducia e credibilità nei partiti politici, essenziali strumento di democrazia, rappresentanza e creazione del consenso.

Il malessere è tanto, e comprensibile. In UK 6.7 milioni di persone, l’8.4% della forza lavoro, sono disoccupati, il dato peggiore negli ultimi 17 anni. Le stime per la crescita sono bassissime, e i tagli al welfare aumentano il conflitto sociale, creando tensioni tra giovani-vecchi, britannici-stranieri, donne-uomini, ricchi-poveri. Il nostro, in Europa, è un capitalismo povero, con poche ricette per crescere, e poca luce in fondo al tunnel.

Nel continente è stata la Spagna a far tremare l’Europa nei giorni scorsi. Un paese vittima della bolla immobiliare, paralizzata da un 23.6% di disoccupazione (50.5% tra i giovani). La risposta è stata un’altra dose massiccia di austerity. Come dice l’economista Paul Krugman, davvero sembra stia per esplodere l’intero sistema, con la follia della diagnosi ortodossa tedesca orami a pieno regime in quasi tutta Europa.

Ho respirato tanta antipolitica anche in Italia nei giorni scorsi. La cosa che mi ha stupito è stata la sua trasversalità, parole in Beppe Grillo style pronunciate da chi meno te l’aspetti. Chi per anni ha votato contro Berlusconi, e ha alacremente lottato contro la delegittimazione della politica e delle istituzioni, lo scialacquio della spesa pubblica, è comprensibile sia critico nei confronti di un governo costretto a fare i conti con le conseguenze di quegli anni. Certo, le ricette potrebbero essere diverse, e il governo Monti è, nei fatti, il governo dell’ortodossia dell’austerità. D’altro canto è un governo di tecnici, non di politici.

Il finanziamento della politica è un bersaglio facile. Il problema è che l’antipolitica è un sentimento rischioso (lo ha cavalcato Berlusconi) che produce mostri.

Per uscire dalla crisi, invece, ci vuole la politica. Per ridare un nuovo volto all’Europa, al suo capitalismo impoverito, nutrirlo di responsabilità, sana regolamentazione, ci vuole la politica. E ci vogliono i partiti. L’alternativa sono 250mila euro per un incontro con un Primo Ministro, le lobby, i gruppi di interesse. Per chi ha avuto il Berlusconismo, questo dovrebbe sembrare un incubo da cui stare alla larga. Dopo i tecnici, le banche, il potere delle corporazioni, quando sarà l’ora della buona politica?

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