La criminalità organizzata in Veneto sta diventando la nuova Banca di riferimento. “Per gli imprenditori in crisi di liquidità chiunque porti soldi è ben accetto, anche il camorrista o l’affiliato alla ‘ndrangheta, che diventa l’ultima speranza prima del suicidio”. E di suicidi per crisi il Veneto se ne intende, vista la decina di casi degli ultimi sei mesi. Le parole sono di Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione parlamentare antimafia chiusa due giorni fa a Venezia. E stando alle relazioni presentate dai prefetti, che riportano indagini svolte dai carabinieri dei comandi provinciali, Ros e Dia, emerge uno ‘spaccato’ in cui lentamente sembra farsi largo sempre più la ‘ndrangheta a ovest e la Camorra ad est della regione.
La criminalità calabrese “striscia silente e senza far rumore – dice il colonnello Sergio Raffa, comandante regionale della Direzione investigativa antimafia – è difficile scoprirla perché allaccia rapporti con le imprese locali e molto lentamente le svuota, se ne approria”. La mappa segnata dalle relazioni è quello di un “quadrilatero” che collega Verona, Vicenza, Modena e Reggio Emilia. Stando alle elaborazioni delle forze dell’ordine presentate in commissione emerge a Verona un gran numero di pergiudicati calabresi affiliati alle cosche. Una presenza che ‘interagisce’ marcando a fondo la società e l’economia.
Un dato rilevante è stato portato a conoscenza della commissione: le cosche che si fanno la guerra al sud, in Veneto creano una sorta di alleanza. La ‘ndrangheta è particolarmente attiva nel settore del ciclo del cemento, e, stando alle relazioni, le varie aziende ‘contigue’ alle famiglie calabresi che in terra d’origine si combattono a suon di spari, nel veronese e nel vicentino cooperano insieme, perchè l’obiettivo è far girare i soldi. E così l’ovest del Veneto appare come una piccola Calabria in miniatura, in cui c’è spazio per tutti e dove si pulisce il denaro che viene dalla droga. Si ripropongono così i Dragone e i Grande Aracri di Cutro, gli Anello-Fiumana di Filadelfia, i Vrenna-Ciampà Bonaventura di Crotone, i Papalia-Italiano di Delianuova, i Morabito-Pangallo-Marte di Africo Nuovo, i Bellocco di Rosarno i Piromalli-Molè di Gioia Tauro. E proprio a quest’ultima cosca la Guardia di Finanza Calabrese ha inferto un duro colpo. Nel giugno del 2011 si è chiusa l’indagine ‘Panama’ contro il narcotraffico, la procura antimafia di Reggio Calabria emette 18 ordinanze di custodia cautelare in carcere: tre di queste persone, calabresi di origine, sono residenti a Sommacampagna, Bussolengo e Peschiera (Verona). Un mese dopo la Dia veneta sequestra 3milioni di euro a Domenico Multari, detto ‘Gheddafi’, originario di Cutro e affiliato ai Dragone. Il calabrese è residente a Zimella, sempre nel veronese, e in sette anni di ‘soggiorno’ al nord aveva dichiarato 40mila euro di reddito, mentre viveva in una vlla con un sistema di sorveglianza di ultima generazione.
L’allarme sulle infiltrazioni criminali in Veneto lo aveva dato anche il Ministro per il Rapporti con il Parlamento Piero Giarda due giorni fa, rispondendo in aula al question time del parlamentare padovano del pd Alessandro Naccarato. Il caso sollevato è quello del fallimento della società Edilbasso, leader dell’edilizia nel padovano. Naccarato ha espresso “particolari perplessità” riguardo al fatto che nella società Faber, che tiene in piedi il ramo ‘sano’ della Edilbasso al fine di pagare i creditori, sono coinvolte persone che hanno avuto ruoli importanti nell’inchiesta “Tenacia” sulla ditta lombarda Perego Strade srl, e che ha consentito l’arresto di Salvatore Strangio, poi condannato in primo grado a Milano a 12 anni per associazione mafiosa.
L’anello di congiunzione tra quell’inchiesta e le vicende della ditta padovana si chiama Giovanni Barone, consulente finanziario di 43 anni, romano di nascita e calabrese di adozione, che della Perego strade fu il liquidatore e che per qualche mese ha avuto il 65% delle quote della Faber. Ora nella compagine societaria della Faber appare con il 10% un’altra persona legata alla Perego, ovvero Adriano Cecchi, che della Perego è stato sindaco della società in liquidazione. Cecchi e Barone non sono indagati, ma di Barone il gip milanese scrisse: “Barone è il soggetto, talvolta discusso e contestato da parte dei calabresi tagliati fuori dalla gestione diretta di Perego, al quale viene affidata la sistemazione delle società decotte”. Il consulente finanziario ha precedenti di polizia per reati contro la pubblica amministrazione, resistenza e violenza, falso in genere, falsa attestazione, omessa custodia di armi.
“Il fronte della guerra alla criminalità organizzata si è spostato al Nord – commenta Maino Marchi, membro della commissione parlamentare e presente a Venezia – e il Veneto è un terreno florido per la criminalità che ha soldi da investire, solo adesso il Parlamento sta procedendo al recepimento della normativa europea sui tempi certi di pagamento, il rischio è che questa regione si svegli tra vent’anni e si ritrovi come la Lombardia e la Liguria”.
Nel frattempo, assieme alla ‘ndrangheta che si insinua, ci sono inchieste già note alle cronache e che riguardano invece napoletani vicini alla Camorra. Come svela l’inchiesta “Serpe”, un’associazione di stampo mafioso dedita all’usura smantellata dai carabinieri e dalla Dia nel 2011, che faceva capo ad una società padovana del campano Mario Crisci, che avrebbe prestato denaro ad usura, con tassi fino al 180%. Vittime i piccoli imprenditori, albergatori o gestori di chioschi, minacciati anche con armi. Una quota degli utili, come ricostruito dal pm Roberto Terzo, andava a Casal di Principe. 23 gli imputati ammessi al rito abbreviato. E poi ancora l’operazione Manleva dei carabinieri con i fratelli napoletani Catapano a spolpare le aziende in crisi del padovano. Camorra e ‘ndrangheta non sono più un tabù per il Veneto, ora che c’è bisogno di soldi, e ora che le banche chiudono le borse, gli imprenditori del Nordest hanno trovato una pericolosa strada per rimanere in vita. Almeno finchè i boss glielo consentiranno.