Qualche tempo fa opinionisti come Michele Serra o Massimo Gramellini si sono espressi in modo estremamente negativo sull’uso e la funzione di Twitter, adducendo, come sostegno alle loro tesi, tra le altre motivazioni, il fatto che la velocità e la brevità costituita dalla gabbia di 140 battute indurrebbe gli utilizzatori di quel mezzo alla drasticità di giudizio e a una limitatezza dello sviluppo del pensiero che impedisce la strutturazione del ragionamento in maniera più complessa. Ne risulterebbe una comunicazione poco ‘adulta’, infantile e superficiale, dove l’articolazione intellettuale cede il passo all’emotività.
Questo aspetto è stato sottolineato anche da Francesco Piccolo il quale si dichiara ‘turbato’ dall’immediatezza di Twitter che introdurrebbe una specie di parificazione tra giudizio argomentato e reazione emotiva. Mi paiono, questi, aspetti interessanti nati attorno al diffondersi sempre più ampio di questo mezzo (ma anche degli sms), poiché mettono in gioco un nuovo modo di utilizzo dell’antico mezzo della scrittura. Fatto salvo, per evitare inutili polemiche, il riconoscimento del suo valore sociale, è interessante ragionare proprio sul fatto che la brevità possa o meno determinare la drasticità e l’emotività del giudizio. Mi pare che l’opinione di Piccolo sia interessante quando sottolinea come sia possibile scrivere un bel racconto di tre righe ma per farlo occorra una riflessione maggiore che per uno di venti pagine.
L’altro pericolo che la brevità nasconde è la tendenza a far scivolare la lingua e il suo lessico sempre più verso un utilizzo ‘basico’ con pochi sostantivi, pochi tempi verbali e in sostanza una tavolozza che rischia di limitare le possibilità comunicative. Anche qui si può fare un bel quadro con soltanto due colori ma bisogne essere Picasso. Le fesserie si scrivono anche avendo a disposizione molto spazio e molto tempo, ma il rischio è quello di comunicare soprattutto per slogan, limitando la qualità della parola che con riflessione e articolazione può produrre più profondità.