Secondo la Commissione economica delle Nazioni unite per Sud America e Caribe, nel 2010 il 17% delle esportazioni è andato verso Cina, Giappone e Corea del Sud, in netta crescita rispetto al 5 per cento del 2000. Nello stesso periodo, l'export verso gli Stati Uniti è sceso dal 60 al 40 per cento
“Le relazioni tra le regioni si sono concentrate su minerali ferrosi, soia e rame”, osserva Alicia Barcena, segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni unite per America Latina e Caribe (Eclac). “Ma la tendenza inizia a cambiare – aggiunge – ed è dimostrato dai diversi investimenti che i paesi asiatici stanno avviando nella regione”.
Secondo i dati Eclac, nel 2010 il 17 per cento delle esportazioni dei paesi latino americani è andato verso gli stati asiatici che si affacciano sul Pacifico, principalmente Cina, Giappone e Corea del Sud, in netta crescita rispetto al 5 per cento del 2000. Nello stesso periodo, l’export verso gli Stati Uniti è sceso dal 60 al 40 per cento. Dietro solo agli Usa per volume commerciale con l’America Latina, Pechino è ormai il principale partner di Brasile e Cile, il secondo del Messico (con il commercio bilaterale cresciuto del 34,7% nel 2011 rispetto al 2010) e tra i primi tre di Perù, Cile, Venezuela e Argentina. Gli investimenti cinesi tra il 2010 e 2011 sono passati da 15 a 23 miliardi di dollari e stando a quanto riferito da Barcena ad Associated Press, senza tuttavia fornire dati precisi, il Giappone ha investito ancora di più. La novità è che il denaro in arrivo è destinato soltanto per il 40-50% allo sfruttamento di materie prime, mentre il resto riguarderà progetti in altri settori, come l’attività manifatturiera o l’edilizia. “Concentrarsi sulle risorse naturali è inizialmente più facile da gestire; avviare opere di costruzione o produzione industriale è molto più complicato”, nota Kevin Lu, direttore di World Bank Group per la regione Asia-Pacifico. “E’ un processo naturale all’inizio di qualsiasi relazione commerciale bilaterale. Ma quando i rapporti si consolidano – sottolinea – l’interesse si trasferisce in altri settori”.
L’attenzione cinese nel cercare nuovi canali d’investimento, quali il settore energetico o l’industria automobilistica, come auspicato dai paesi sudamericani, procede parallelamente all’interesse a evitare restrizioni troppo severe. Mentre i paesi latini hanno finora fatto fatica a diversificare le esportazioni, la Cina è riuscita invece a far entrare prodotti manifatturieri in gran quantità nei mercati emergenti della regione. Il 97,5% delle esportazioni cinesi in Brasile è composto da prodotti industriali, soprattutto di elettronica; quasi tutte le nuove auto cubane arrivano dalla Cina e una situazione simile si registra in Perù. Le proteste dei produttori locali hanno spinto i governi a cercare soluzioni alternative e Brasile, Argentina e Colombia hanno di recente adottato misure protezionistiche, tra cui nuove tasse sull’import, per regolare il commercio di oltre 140 prodotti.
Nonostante le difficoltà, tra cui la diffidenza che spesso accoglie gli investimenti cinesi all’estero o non ultime le proteste delle popolazioni indigene a difesa dei territori sfruttati, “le aziende cinesi desiderano entrare nei mercati emergenti di America Latina e Caraibi, regioni ricche di risorse naturali e in costante crescita economica degli ultimi anni”, assicura Jia Huai, vice direttore generale del dipartimento informazioni economiche del Consiglio cinese per la promozione del commercio internazionale.“Gli investimenti futuri cinesi – dice intervistato dal quotidiano ufficiale di Pechino China Daily – saranno incentrati su turismo, agroalimentare e infrastrutture… e aumenteranno rapidamente man mano che gli investitori cinesi accresceranno la loro conoscenza dell’area”.