Forse nella lista delle 50 cose da fare prima di compiere 12 anni, stilata dalla fondazione inglese National Trust per far riscoprire ai bambini il rapporto con la natura, l’aria aperta e una realtà meno virtuale, avrebbe dovuto trovare spazio anche l’ascolto di un disco in vinile; magari a fianco dell’arrampicarsi su un albero, osservare gli insetti o guardare l’alba.
Perché oltre alla musica che ne scaturiva, l’esperienza fisica con l’ormai antico supporto discografico è stata fondamentale per appassionare intere generazioni all’ascolto, sostenendo un mercato un tempo ricchissimo e ora in agonia che si aggrappa al fascino perduto per trovare nuove ragioni di vita.
A questo serve in fondo il Record Store Day del 21 aprile, oltre a far viaggiare a ritroso nel tempo sia chi ricorda con nostalgia, sia chi è cresciuto con la musica nel telefonino e non sa cosa significa appoggiare delicatamente la puntina sui solchi e sentire il fruscio che per pochi, ma lunghissimi istanti, precede l’inizio della canzone.
Nata nel 2007 negli Stati Uniti, la giornata del negozio di dischi è diventata negli ultimi anni un evento mondiale per l’intero settore. Un giorno in cui il download digitale, la musica ascoltata attraverso i lettori mp3, viene dimenticata per tornare al caro vecchio disco in vinile (con un pensiero anche al Cd, ormai anch’esso moribondo). Si celebra il piccolo negozio sotto casa (stile “Alta Fedeltà” di Nick Hornby, ricordate?), quello del negoziante appassionato che si ferma a chiacchierare di blues, di progressive, di quando ascoltare musica era un rito spesso solitario, da vivere con la copertina tra le mani, osservando le foto, leggendo i testi senza lente di ingrandimento. Un avvenimento che ormai coinvolge oltre 300 artisti con le rispettive etichette che dedicano al grande giorno delle edizioni speciali: Iggy Pop è l’ambasciatore ufficiale, ma si va da Eddie Vedder dei Pearl Jam a David Bowie, dagli Arcade Fire a Leonard Cohen fino ai Wilco; persino gli Abba o l’ultima “sensation” Indy-pop internazionale Lana Del Rey. Bruce Springsteen (che pubblicherà un singolo per l’occasione), ha invitato i suoi fan a comprare il recentissimo “Wrecking Ball” in un negozio locale evitando le grandi catene o il download.
Anche in Italia qualcosa si muove. Dalla Sony arrivano inediti di Litfiba e Marlene Kuntz (la “Impressioni di settembre” presentata a Sanremo) e ristampe di album anni ’70 di Claudio Rocchi (Essenza), ed Equipe 84 (Sacrificio), mentre dal mondo dell’indie nostrano battono un colpo gli Zen Circus, i Calibro 35 (che pubblicano i loro quattro album in un cofanetto di vinili a forma di contenitore di pizze) e molti altri.
I dischi pubblicati per l’occasione sono divisi in tre categorie: i più rari, messi in vendita solo nei negozi che partecipano all’evento in pochissime copie e destinati ad esaurirsi presto; quelli con tiratura più ampia ma sempre “esclusivi” e infine quelli (spesso legati agli artisti maggiori) che dopo quattro-sei settimane, saranno venduti anche altrove (grandi catene e attraverso l’e-commerce).
Viva il glocal, abbasso il global, si potrebbe dire, ma le cose non sono mai così semplici: anche in questo caso internet ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del Record Store Day. Sul sito web si trova il database che consente a chiunque di trovare il negozio più vicino che partecipa all’iniziativa e scoprire tutto sugli artisti che la sostengono; c’è persino l’applicazione per smartphone.
Insomma, si guarda al passato coi mezzi del futuro: senza la rete la manifestazione non sarebbe mai diventata un cult mondiale nel giro di pochi anni.
di Luca Raimondo