Trovato morto un ragazzo nella stessa zona dove la scorsa notte si è tenuta una manifestazione di protesta contro il Gp. Per gli oppositori al re si tratta di un omicidio dovuto alla violenza della polizia, mentre il ministero dell'Interno dichiara di voler approfondire le cause del decesso. Domani l'inizio ufficiale della competizione automobilistica
Ancora sangue sul Gran Premio del Bahrain. Venerdì notte è stato trovato morto un ragazzo nei pressi del villaggio di Shukhura, vicino alla capitale Manama. Probabilmente è stato ucciso durante gli scontri tra l’esercito e gli attivisti che da oltre un anno stanno lottando per chiedere riforme economiche e sociali e che da settimane stanno infiammando il paese per boicottare la gara di Formula 1: identificata dai manifestanti come icona del potere di re Hamad bin Isa Al Khalifa e il cui svolgimento diventerebbe simbolo della sua impunità internazionale. Che il ragazzo sia stato ucciso durante gli scontri lo denuncia Al-Wefaq, il principale partito di opposizione sciita della monarchia costituzionale del Bahrain retta col pugno di ferro dalla monarchia sunnita di Al Khalīfa, i cui 18 deputati si sono tutti dimessi il 17 febbraio dell’anno scorso: tre giorni dopo l’inizio della primavera di rivolta del Bahrain.
I militanti di Al-Wefaq spiegano come il corpo dell’uomo, Salah Abbas Habib, di 36 anni, sia stato trovato sul tetto di un edificio con una ferita sul lato destro del corpo, probabilmente un proiettile, e accusa senza mezzi termini le forze dell’ordine di omicidio. Il capo della pubblica sicurezza del piccolo arcipelago del Golfo Persico, generale Tariq al-Hassan, ha rilasciato una dichiarazione ufficiale: “Stiamo investigando con tutti i mezzi a disposizione. Chiediamo pertanto alla gente di aspettare i risultati e l’autopsia e di non precipitarsi in supposizioni alimentate dai social media”. Ma la popolazione non si fida. Khalil Marzooq, uno dei 18 ex-deputati di Al-Wefaq, spiega: “Il ragazzo è scomparso durante gli scontri di venerdì sera. Ora la polizia sostiene che apriranno un’indagine, ma in Bahrain non c’è alcun organo indipendente di cui sia possibile fidarsi”.
Sui social network gli attivisti non hanno dubbi sulla causa del decesso, per loro Salah Habbas Habib è già diventato un martire: l’ultimo in ordine di tempo di una serie di ragazzi morti per mano delle forze dell’ordine e dell’esercito. Solo una settimana fa un altro ragazzo di 15 anni era stato ucciso dalla polizia durante gli scontri seguiti al funerale di un altro ragazzo morto. Su twitter @NABEELRAJAB cinguetta: “Martyr Salah Habib Abbas was shot and killed last night as the #Bahrain regime try to clear the way for the #Formula1 #GP”. (Martyr Salah Habib Abbas è stato ucciso la notte scorsa dal regime per spianare la strada al Gran Premio, ndr).
Venerdì sera, solo poche ore prima che fosse scoperto il cadavere del ragazzo, l’erede al trono sceicco Salman bin Hamad Al Khalifa aveva detto: “Fermare la gara sarebbe un regalo per gli estremisti”. Bernie Ecclestone, padre padrone della Formula 1, ha invece dichiarato: “E’ impossibile sospendere la gara. Le proteste ci sono in ogni paese ma noi facciamo sport, non politica”. Ma ora il Gran Premio del Bahrain ha travalicato anche la politica: è guerra. Siamo arrivati al punto in cui nei villaggi si spara perché i piloti e le squadre possano disputare la loro gara rinchiusi nell’iper-protetta oasi desertica di Sakhir. Jean Todt, presidente Fia, oggi si è spinto addirittura più in là: sostenendo che quanto successo non danneggerà l’immagine della F1: “Sono dispiaciuto per le recenti notizie, ma non sono sicuro rappresentino la realtà di questo paese – ha dichiarato l’ex direttore generale della Ferrari -. La F1 è un brand molto forte e la gente vuole vedere la corsa. Fermarla per accontentare una minoranza non avrebbe senso”.
I manifestanti intanto hanno annunciato che non si fermeranno, e cercheranno di avvicinarsi il più possibile al circuito. Una manifestazione è stata annunciata per domenica pomeriggio, in concomitanza con la gara, nei pressi del polo universitario di Sakhir, a due passi dal circuito. E adesso, dopo aver ostentato sicurezza fino all’ultimo, la monarchia del Bahrain e quella della Formula 1 cominciano davvero ad avere paura. Filtrano anche pareri dell’intelligence britannica che per la prima volta teme davvero che i manifestanti possano invadere il circuito. E se davvero domani gli attivisti riuscissero ad avvicinarsi al circuito, sparare sulla folla di fronte alle telecamere che trasmettono in diretta in milioni di case in tutto il mondo, potrebbe essere troppo perfino per loro e per la loro immagine.