In varie occasioni, sollecitato dalle cronache dei numerosi suicidi di pensionati, esodati e imprenditori, avrei voluto scrivere dell’argomento; me ne sono sempre astenuto per il duplice motivo di non volere correre il rischio di “usare”, magari involontariamente, le morti delle persone come strumento a supporto delle proprie opinioni e di un certo imbarazzo nel trattare un argomento quale la morte, che va ben oltre le mie capacità di approfondimento e che, insieme alla nascita, costituisce la transizione da e per il mistero, di fronte al quale dichiaro la mia completa inadeguatezza.

Insomma, mentre la mia coscienza mi suggeriva di astenermi dal parlare di morte senza averne forse neppure ben compreso la portata, mi sembrava anche un po’ cinico citare il numero dei suicidi in Italia e il loro aumento come indicatore del fallimento delle politiche del governo (forse della comunità tutta), almeno dal punto di vista sociale.

Vedo invece che il nostro presidente del consiglio tecnico (o, a scelta, presidente tecnico del consiglio), senza dimostrare particolare imbarazzo, fa l’opposto e cioè cita l’agghiacciante numero di suicidi in Grecia come esempio di ciò a cui secondo lui avremmo potuto andare incontro senza l’intervento salvifico del Governo che presiede; insomma un deterrente a opporsi alle riforme che lui considera dovute, necessarie e indispensabili.

Dinanzi alla morte, particolarmente di persone che non ce la fanno più a vivere insieme a noi, dovremmo tutti avere la capacità di sospendere i nostri pensieri, di chiudere per tutto il tempo necessario la nostra personalità in un luogo inaccessibile e di lasciare che l’enormità dell’avvenimento parli direttamente alla nostra coscienza, accertandosi che quest’ultima sia ben aperta a ricevere il significato degli eventi. Solo dopo si dovrebbe iniziare una riflessione profonda sul perché tante persone arrivino a condizioni di sofferenza così estrema da decidere di rinunciare alla vita ma, soprattutto, sul se ci sia stato un nostro contributo, anche se involontario, a favorire quella scelta estrema anziché a evitarla con tutte le nostre forze.

Viviamo, vivo, in una società che si è abituata a lasciarsi scorrere sopra con leggerezza la quotidianità delle morti da povertà e disperazione e, vivendoci, abbiamo sviluppato una scorza di indifferenza tale da mantenerci freddi anche quando le morti, da avvenimenti lontani nello spazio come quelle che avvengano con cronometrica regolarità nei paesi tradizionalmente poveri, iniziano a manifestarsi anche in paesi molto vicini a noi, con i nostri stessi modi di vita. Ormai neppure il freddo soffio esiziale che ci sfiori ci distoglie dalle nostre certezze, dalla ricerca vana della sicurezza e dell’antidoto dalla nostra fine nella solidità economica, nella disponibilità di beni materiali e nella evasione anestetica dalla realtà attraverso l’intrattenimento continuo.

Di fronte ai morti Greci non siamo in grado di compiere il passo determinante che ci sposti dalla accettazione della ineluttabilità di quelle morti, che è parente stretta della indifferenza, a una assunzione di responsabilità per avere contribuito con aspettative, consumi tanto esasperati quanto vacui, pretese, politiche sbagliate, ideologie, criteri economici individualistici, priorità al libero mercato, alla costruzione di una società in cui quelle morti, per quei motivi, possono esistere.

Anzi, quelle morti le vediamo come uno scampato pericolo (è toccato a loro, non a noi) e non riusciamo a porci in un‘ottica di tolleranza zero, né rimettiamo in discussione un modello che, nell’ambito di una macro società quale quella che pensavamo dovesse essere l’Europa, accetti e anzi promuova che frange della popolazione possano trarre vantaggi da una condizione economica nella quale altri decidono di farla finita.

I Greci pagano le loro colpe e la corruzione dei loro governanti ma anche la rigidità di chi ha loro imposto cure economiche impossibili, forse anche preoccupandosi che medicine meno amare per loro potessero ridurre le proprie capacità di acquisto, contaminare in qualche modo economie floride e che hanno prosperato mentre altre appassivano. Citarli a esempio di quanto si è evitato (forse) o peggio, agitarli come qualcosa che potrebbe accadere qui se non si aderisce alle ricette proposte (imposte) mi sembra quasi il non lasciarli andare, il non liberarli neppure ora da quei vincoli che hanno trovato insostenibili, da quelle regole che forse avevano violato ma per cui hanno pagato un prezzo che dovrebbe consentire loro di rimanere in pace, almeno ora.

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