Sulle scene romane è tempo di spettacoli a puntate. O forse sarebbe meglio dire a capitoli, visto che si tratta di opere con una forte componente letteraria. Al Teatro Vascello è attualmente in cartellone (fino alla fine del mese) un allestimento molto particolare del Satyricon di Petronio, in quella che la compagnia Verdastro Della Monica ha chiamato “una visione contemporanea”. Sei drammaturghi si sono cimentati con una riscrittura che dimostra l’attualità del testo, che viene trasposto in un presente che parla di precariato, sms e televisione, ma usa anche il latino maccheronico.
Anche il lavoro di Tom Stoppard, The Coast of Utopia, al momento in scena al Teatro Argentina (dove, con i suoi capitoli Viaggio, Naufragio e Salvataggio, rimane fino al 29 aprile) con la regia di Marco Tullio Giordana, sembra quasi leggere il clima culturale e politico della Russia del XIX secolo come allusivo alla nostra epoca e all’attuale bisogno di utopie, senza però per questo perdere l’affondo analitico che realizza il grande affresco storico.
Un kolossal teatrale, una immensa produzione per cui si sono mobilitati il Teatro di Roma di Gabriele Lavia e il Teatro Stabile di Torino di Mario Martone, con l’importante sostegno della casa di produzione Zachàr di Michela Cescon. È la stessa attrice e produttrice ad aver creduto in questo progetto ambizioso, acquisendo i diritti dell’opera, forte di un enorme successo ottenuto nei palchi inglesi e americani. Un lavoro pluriennale, per il quale, afferma la produttrice, si è speso un decimo della analoga produzione americana. Tuttavia, vedere sulla scena 31 attori meraviglia non poco, soprattutto in un periodo come questo in cui il teatro e la cultura in genere stanno vivendo una crisi totale. Ne parla lo stesso Giordana nelle sue Note di regia, dove precisa che il cast è stato composto attingendo alle centinaia di attori «fuori dal giro e senza opportunità» che il regista ha avuto modo di incontrare per la realizzazione dei suoi film: «quelli che mi colpivano o di cui intuivo grandi potenzialità» e che hanno dimostrato «quanta energia e voglia di fare ci sia in Italia».
Non mi dilungo sulla descrizione dello spettacolo, che ho trovato ben recitato e coinvolgente (ma rimando alle recensioni di Graziano Graziani e di Daniela Pandolfi per chi volesse un resoconto dettagliato), nel suo rappresentare i grandi intellettuali e rivoluzionari russi, tra Romanticismo e Idealismo, sentimenti e ragione, libertà e necessità. Eppure, per quanto il giudizio complessivo sia positivo e anche nel pubblico si sia notata una generale soddisfazione, mi ha lasciato abbastanza perplessa lo stile molto cinematografico, se non addirittura televisivo a tratti, della narrazione. Non èsolo l’immensa macchina messa in piedi, decisamente poco usuale per il teatro, a far pensare al cinema. Ma è proprio lo spettacolo, con i suoi continui salti e sfasamenti temporali, a richiamare le tecniche della settima arte. Certo, la firma di Giordana condiziona non poco questa sensazione, perché magari lo spettatore ha negli occhi anche le scene di Romanzo di una strage, al cinema in questi giorni. Ma è il Giordana della Meglio gioventù che mi è venuto in mente per tutta la durata dello spettacolo. Forse per lo spaccato di una generazione alle prese con la Storia. Forse anche a causa della serialità, sicuramente giustificata con la scelta di non tenere il pubblico incollato alla poltrona per sette ore e di rispettare la ripartizione del testo, ma di fatto leggibile come una trasposizione teatrale del feuilleton.