Cultura

Dove sta la creatività

Proprio nei giorni in cui finalmente mi sono dedicata al bel volume di Annamaria Testa sulla creatività (La trama lucente), mi capita di essere a Milano nei giorni della Settimana Internazionale del Design, la cui Fiera è a Rho. Anche le vie della moda, però, diventano sedi e location per ospitare designer o omaggiare il design dell’arredo. Come ci è capitato di vedere agli eventi organizzati da Corso Como 10 (con un vero fabbro all’opera), alla Rinascente e da Tod’s, per esempio. Ma non solo. Tutto il quadrilatero modaiolo di Milano si è trasformato in una fiera delocalizzata, oltre al cosiddetto Fuorisalone, a Brera. Nella sede dell’Accademia, per esempio, nella gessoteca – accanto alle copie canoviane di Fidia – era stata installata una galleria multicromatica che ospitava arredi colorati, lì, in mezzo ai giovani, quelli che studiano arte e creatività.

A Via Tortona, poi, abbiamo ammirato molte idee innovative in mezzo a veri spettacoli multimediali, tipo Canon (splendido) e Samsung (ci aspettavamo di più), ma la creatività più vera e naïf stava al Salone Satellite di Rho. Satellite rispetto al mega Salone del Mobile che ha riempito la pur immensa Nuova Fiera.
Situato quasi in fondo a tutto (che scarpinata!), nel Salone Satellite sono stati raccolti un po’ meno di 100 giovani creativi provenienti da ogni parte del mondo (Giapponesi e Italiani, però, erano in maggioranza), i quali hanno dimostrato quanto sanno farci. Li abbiamo salutati quasi tutti, anche perché spesso ci sembravano un po’ spaesati e poco considerati. Ci hanno raccontato in maniera entusiasta – non volevano lasciarci andare – tutto il percorso per arrivare a costruire i prototipi che hanno portato con sé. Ci ha colpito un gruppo di ragazzi brasiliani, i “Jovens Designers”, sembravano ragazzi in gita, con jeans e zaini. Non pareva loro di stare a Milano in mezzo a big dell’arredo e del design. Nel loro inglese stentato spiegavano la funzionalità e la semplicità dei loro pezzi, veri capolavori di intuizione, funzionalità e bellezza. Un collettivo internazionale che ha sede a Belgrado (il “Design Playground”) ha raccolto le idee creative di studenti europei (anche italiani): un tripudio di incastri e utilità con il legno.
Una ragazzona serba ci ha spiegato tutte, ma proprio tutte, le sorprendenti creazioni, con tanto di dimostrazioni pratiche. É disarmante il loro entusiasmo, ma anche il loro timore di non avere abbastanza credito davanti a mastodonti del design e dell’arredo. Una parentesi di creatività frou-frou, ma allegra assai, si trovava da Marita Francescon, con i suoi arredi a forma di trucchi: un porta fard per poltrona, lampada come boccetta di lacca per unghie e sgabellone morbido a forma di lipstick, una palette di ombretti come tavolino.
In definitiva, però, la parola d’ordine (come al Satellite, così anche a Superstudio – Via Tortona) era il downsizing: materiali di riciclo, artigianato, materiali poveri, ri-uso, legno&bambù, molto tessile (anche recupero di stracci), tricot&crochet (come abbiamo ammirato al padiglione France Design, sempre a Via Tortona). La crisi stimola l’ingegno: cercare di fare con quel che c’è (rimasto) è un esercizio più difficile di creatività, ma i risultati sono incredibili. È tutto un ‘oh’ e ‘ah’ di meraviglia e allegria.
I ragazzi del Salone Satellite (dedicato agli under 35 e le selezioni partono un anno prima) sono eccezionali e avremmo voluto citarli tutti e ringraziarli per le notti passate a disegnare, costruire, preoccuparsi, sfidarsi ed impegnarsi, imbarcarsi in un viaggio lungo con tutti i loro prodotti. C’era un cinese dall’aria stanca e dall’inglese misero che lavorava l’acciaio e chiedeva a tutti di provare un suo galattico sgabello minimalista. C’erano i ragazzi giapponesi che lavorano il feltro e ne fanno sedie e tavoli. Altri che costruiscono armadi e sedute con un tipo particolare di cartone pressato ed alveolato. La giocosità e la funzionalità delle loro idee è sorprendente: si può essere geniali con poco. Il loro più grande sogno? Una ragazza mi ha confessato: “Una telefonata dall’Ikea.

di Marika Borrelli