Sull’articolo 18 Emma va alla guerra ma nessuno la segue. Determinata a chiudere con una vittoria dall’alto valore simbolico un quadriennio alla guida di Confindustria da molti giudicato incolore Emma Marcegaglia si sta impegnando anima e corpo per smantellare le tutele dei lavoratori in caso di licenziamento. L’ultima chiamata alle armi per i colleghi è risuonata un paio di settimane fa dalle pagine del Financial Times dove l’imprenditrice mantovana ha definito “pessima” l’ultima versione della riforma del lavoro.
Tuttavia la lista delle defezioni si allunga di giorno in giorno e soprattutto tra i grossi nomi della nostra industria non è facile trovare qualcuno disposto a spendersi per la causa. Il primo a defilarsi è stato il numero uno di Telecom Italia Franco Bernabé, che nel curriculum vanta anche un’esperienza da economista dell’Ocse. Già lo scorso dicembre aveva giudicato il tema dell’articolo 18 “totalmente fuori tempo e fuori luogo” e aveva fatto notare come tutele simili esistano in tutto il mondo occidentale. Al timone di un gruppo da 84 mila dipendenti, Bernabé, aveva anche sottolineato la scarsa incidenza che la norma ha nella pratica e classificato l’attacco nei suoi confronti esclusivamente ideologico.
Del resto l’irrilevanza pratica della questione pare essere una faccenda più di numeri che di opinioni. Secondo i dati dei sindacati i reintegri in azienda legati all’articolo 18 sono un centinaio all’anno e come spiega un dettagliato studio del sito La Voce la norma non sembra avere effetti significativi neppure sulle scelte strategiche delle aziende. A far vacillare un altro luogo comune made in confindustria secondo cui l’art 18 sarebbe lo spauracchio degli investitori esteri ci ha invece pensato l’amministratore delegato di Ikea Italia Lars Petersson. Dopo aver annunciato lo spostamento in Piemonte di alcune produzioni prima realizzate in Asia ha infatti affermato che i problemi per chi investe nel nostro paese “ derivano dalle incertezze sui tempi della burocrazia e della politica e non dall’art 18”.
Tornando agli imprenditori italiani le parole più dure e colorite in materia le ha pronunciate Carlo De Benedetti, presidente del gruppo L’Espresso, secondo cui il dibattito sul tema è “una puttanata” e l’articolo 18 una “minutaglia irrilevante”. Più soft nei toni ma non troppo diversa nella sostanza la posizione di Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica, che sul Corriere della Sera ha definito l’art.18 un “falso problema” e sottolineato come nel paese ci siano “temi più rilevanti”. Ad esserne convinto è anche Mario Moretti Polegato, presidente e fondatore del gruppo Geox che ha spiegato come i veri nodi del nostro mercato del lavoro siano “la formazione dei giovani e lo sfoltimento dei contratti”. La battaglia per i licenziamenti facili non infuoca neppure gli animi dei manager pubblici. Interpellato da Radio 24 l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti ha tagliato corto affermando che “quando ce ne è stato bisogno i fannulloni li abbiamo licenziati indipendentemente dall’articolo 18 e ne abbiamo licenziati molti”.
Paolo Scaroni, numero uno dell’Eni ha scelto a sua volta e non a caso il Financial Times per affermare che la riforma del lavoro è in ogni caso “un passo avanti e non un passo indietro”. Doveri di scuderia impongono infine a Giorgio Squinzi di mantenere un basso profilo sul tema. Il patron della Mapei, che si appresta a sostituire Emma Marcegaglia alla guida di Confindustria, ha comunque recentemente affermato di non ritenere l’articolo 18 un elemento frenante per lo sviluppo del paese e sottolineato come la vera emergenza sia la disoccupazione record.
di Francesco Maria Molko