I giudici ribadiscono le accuse e la pena emessa dal tribunale in primo grado per l'ex re del latte di Collecchio. In aula aveva chiesto scusa alle persone che aveva contribuito a rovinare
Dopo due settimane di camera di consiglio la corte d’assise d’Appello di Bologna, presieduta dal giudice Francesco Maddalo, ha emesso la sentenza di secondo grado per il filone principale del maxi processo per bancarotta fraudolenta nei confronti dell’ex patron della multinazionale di Collecchio. Processo per il crac da 14 miliardi di euro che nel 2003 mise in ginocchio il colosso agroalimentare Parmalat e sul lastrico oltre 30 mila risparmiatori.
Calisto Tanzi, l’ormai ex “Cavaliere” (il titolo gli è stato revocato dal presidente della Repubblica), fino al cinque maggio dello scorso anno, quando è stato arrestato, aveva ancora in mano le chiavi della sua città: Parma. Nonostante tutti i problemi giudiziari, dal 2003 allo scorso anno ha continuato a svolgere attività di impresa. E non solo. Nel frattempo, in piena bufera giudiziaria, avrebbe speso un miliardo di euro per ristrutturare e in parte acquistare le due ville intestate alle figlie, con soldi legati al crac della Parmalat, la provenienza sarebbe “accertata documentalmente” aveva specificato la Procura. Prima di finire nel carcere di via Burla, quindi, l’ex patron di Parmalat si permetteva non solo di continuare a fare il manager attraverso altre aziende riconducibili alla moglie, nonostante i centinaia di risparmiatori ridotti al lastrico grazie alla sua bancarotta, o di spendere una montagna di soldi per le figlie proprio con quei soldi. Collezionava anche quadri d’arte, ma soprattutto passava gran tempo al telefono. Ha continuato a influenzare imprenditori e uomini influenti della città, su decisioni per quanto riguarda le nomine di Cda e banche cittadine.
Lo stato d’insolvenza della Parmalat fu dichiarato il 22 dicembre 2003. Secondo Enrico Bondi, non ancora commissario straordinario, ma chiamato al capezzale dell’azienda di Collecchio dallo stesso Calisto Tanzi per un disperato tentativo di salvataggio, dalle casse della multinazionale mancavano quattro miliardi. Era un conto ottimistico, poco meno di un terzo di quello che si sarebbe poi rivelato. Il 26 dicembre l’anima “della più grande fabbrica di debiti del capitalismo europeo”, Tanzi, fu arrestato. In manette finirono anche Francesca e Stefano Tanzi, i figli dell’ex patron, che nell’azienda di famiglia avevano rivestito incarichi direttivi (direttore commerciale e amministrativo, oltre che presidente del Parma calcio, lui, dirigente Parmatour lei), Fausto Tonna ed altri big del gruppo.
Calisto Tanzi non era presente nell’aula Bachelet della Corte d’Appello di Bologna, perchè ricoverato a Parma. Il 6 marzo scorso non mancò alla prima udienza del tribunale di sorveglianza in merito alla richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa. Il 9 gennaio, invece, Tanzi fu presente a una delle udienze di fronte alla terza sezione penale della Corte d’appello di Bologna per il crac Parmalat, e in quell’occasione accusò un lieve malore e abbandonò l’aula anzitempo. Il legale di Tanzi, l’avvocato Fabio Belloni ha già dichiarato di voler fare ricorso in Cassazione, perchè “rimangono ancora nodi irrisolti che devono essere dipanati”. Inoltre il 15 maggio chiederà nuovamente al tribunale del Riesame di concedere gli arresti domiciliari a Calisto Tanzi, perchè in pessime condizioni di salute.
Il crac Parmalat è il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio in Europa. Le difficoltà finanziarie della società emersero all’inizio degli anni Novanta, ma soltanto alla fine del 2003 vennero scoperte. Una bancarotta da 14 miliardi dovuta a bilanci falsificati sin dai primi anni novanta, creando un sistema perverso che portava a ripagare debiti con altri debiti. Calisto Tanzi aveva creato un sistema fatto di convivenze con il mondo bancario e con quello politico, sulle spalle dei risparmiatori che avevano investito nella Parmalat, senza però sapere che da anni aveva accumulato debiti.