“E’ la rassegnazione totale quella che emerge dalla nostra attività, gli imprenditori in questa terra non solo pagavano il pizzo, ma prima di iniziare un lavoro si presentavano dal boss per onorare la tassa obbligata”. Un inquirente racconta il dato più eloquente dello strapotere criminale ed economico del clan Belforte, egemone nel territorio di Marcianise con estensioni fino in Lombardia. Dalle indagini è evidente la sottomissione della classe imprenditoriale, pronta a pagare l’estorsione preventiva.
Questa mattina i carabinieri, la squadra mobile di Caserta e la guardia di finanza, il Gico del nucleo di polizia tributaria di Napoli, hanno eseguito su ordine della distrettuale antimafia di Napoli, coordinata dall’aggiunto Federico Cafiero De Raho, un’operazione che ha portato all’arresto di 42 persone e al sequestro di beni per un valore di 10 milioni di euro, case, automezzi, rapporti bancari (anche una villa con piscina), a Caserta, ma anche a Pistoia, Cosenza, Catania e Lucca.
Il clan Belforte, guidato dai fratelli Salvatore e Domenico, è nato dalle ceneri della nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, dopo è riuscito a sbarazzarsi della concorrenza del clan Piccolo prima di accordarsi con il clan dei Casalesi, quest’ultimo ha accettato un patto di non belligeranza con i Belforte, feroci killer e capaci imprenditori. Omicidi, droga, estorsioni e anche videopoker il business del clan, capace di reggere anche all’arresto dei suoi vertici.
Dal sequestro di pen drive e supporti informatici è stato possibile risalire alle società taglieggiate. Il sistema prevedeva il classico pagamento del pizzo nelle scadenze Pasqua, Natale e Ferragosto da parte degli imprenditori, soldi che servivano ad onorare gli stipendi agli affiliati dai 1000 ai 2500 euro, stipendi commisurati alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. Il clan aveva un bilancio con entrate ed uscite, previsti anche premi produzioni e tredicesime. Gli imprenditori interrogati dagli inquirenti negavano, poi si presentavano per onorare gli impegni con il clan per evitare che i Belforte mandassero segnali come intimidazioni, incendi o avvertimenti rumorosi.
L’impresa Belforte è rimasta attiva anche dopo l’arresto dei capi, con il ruolo delle mogli. “I collaboratori di giustizia – si legge nell’ordinanza cautelare – hanno riferito come Maria Buttone si occupasse direttamente delle attività estorsive del clan, mantenendo i rapporti con gli imprenditori sottoposti al pagamento di tangenti e provvedesse alla gestione della cassa del clan, pagando gli stipendi agli affiliati”. Maria Buttone, è la moglie di Domenico Buttone, stesso ruolo per Concetta Zarrillo, consorte di Salvatore Belforte. Sono 5 le donne arrestate, il loro compito era di ‘governare’ perché quando i vertici sono arrestati ‘ comanda chi sta fuori’. E fuori c’erano loro. Oltre ai pentiti, ai riscontri documentali ci sono le parole anche degli imprenditori, che in aula durante i dibattimenti, hanno dovuto confermare quanto emergeva. E’ il caso di un centro medico, quello Antares, e del suo legale rappresentante estorto da Anna Bucolico. “ Il Gallucci ha ricostruito – si legge nell’ordinanza – con estrema precisione e massima credibilità la condotta estorsiva posta in essere nei suoi confronti dall’indagata, che, pacificamente, agiva quale appartenente al clan Belforte”. Il ruolo di Bucolico era quello di riscuotere le estorsioni da imprenditori come Gallucci nonché mettere a disposizione l’abitazione per riunioni operative del clan.