Il boss della Locride è finito in manette. Implicato nell'inchiesta Minotauro della procura di Torino, viene indicato da un collaboratore di giustizia come l'assassino di Pasquale De Marco, ammazzato a colpi di 7,65 il 28 ottobre 1991 a Corsico
Vent’anni fa, dunque, quando Milano si riscopre città corrotta e mafiosa. La Fiat uno fa segno di accostare. La Peugeot 205 rallenta. Iniziano gli spari. Diversi proiettili di calibro 7,65 piombano in rapida successione. Quattro colpiscono il conducente sul lato sinistro, al braccio e al torace. La morte è quasi istantanea. Solo il tempo di accompagnare l’auto per oltre cento metri davanti al cimitero. Pasquale De Marco, classe ’68, originario di Platì (Reggio Calabria) viene ucciso così. Sulla macchina c’è anche Saverio Pangallo, 21 anni, pure lui originario della Locride. Da quell’auto riesce a uscire. I killer sparano e lo colpiscono alla spalla destra. Corre fino a quando incontra due vigili e lancia l’allarme. Gli assassini si dileguano.
Sono le sei di sera del 28 ottobre 1991. Il fatto avviene in via Ugo Foscolo, centro storico di Corsico, paesone a sud di Milano. A quell’ora c’è tanta gente, ma nessun testimone oculare. Alle due del mattino del 29 ottobre la Fiat uno grigia viene ritrovata a pochi chilometri di distanza nel comune di Trezzano sul Naviglio. Indizi? Nessuno, l’auto è rubata. Indagano i carabinieri. Sui primi verbali viene annotata la pista investigativa: regolamento di conti tra clan rivali.
Omicidio di mafia? Il fronte è questo. Nei giorni successivi vengono perquisiti diversi pregiudicati legati alla ‘ndrangheta. Nella piccola caserma di Corsico c’è la processione dei testimoni. Viene sentito anche Pangallo che nulla dice sui killer. Il caso arriva direttamente sul tavolo dell’allora sostituto procuratore Armando Spataro. Le indagini, durano poco. Il fascicolo sarà chiuso il 2 febbraio 1992. Quindi finisce a impolverarsi sugli scaffali: omicidio irrisolto. All’epoca investigatori e magistratura hanno altro a cui pensare: ci sono i sequestri di persona e il traffico di droga. Un business da mille e una notte che i manager di ‘ndrangheta e Cosa nostra si spartiscono all’ombra della Madonnina. E quello di De Marco, in fondo, è solo uno dei tanti omicidi registrati in quel periodo. Milano, allora, corre rapida verso il baratro di Tangentopoli. Un anno prima della morte di De Marco, la procura alza il velo su mafia e corruzione. Il Psi finisce nella bufera, Tony Carollo, figlio d’arte e boss in quota corleonese, invece, va dritto in carcere. Nessuno, dunque, si dà pena di capire il perché della morte di un ragazzo venuto dalla Calabria e del quale i carabinieri di Platì sanno solo che è incensurato.
Eppure, ventidue anni dopo, quel fatto di sangue riemerge in tutta la sua drammaticità. A riesumarlo sono le parole del pentito Rocco Varacalli, uomo dei clan, che ha svelato gli intrecci mafiosi in Piemonte. Il 3 aprile 2007, Varacalli è davanti ai pm di Torino che indagano sulle infiltrazioni delle cosche calabresi. Le loro indagini mettono assieme boss di primo piano, imprenditori addomesticati e politici compiacenti. In quel 2007 l’affresco è appena abbozzato. Si concluderà quattro anni dopo (giugno 2011) con la maxi-operazione Minotauro: 184 gli indagati.
Il nord si scopre vulnerabile. Rocco Trimboli, classe ’67, invece si dà alla latitanza. Lui, alla ‘ndrangheta è affiliato da tempo. Non in Calabria, ma alla locale di Volpiano. Qui, in provincia di Torino, da tempo si sono insediate le cosche di Platì. Unite a doppio filo non solo con la Calabria, ma anche con la Lombardia e in particolare con i comuni di Corsico, Buccinasco e Trezzano sul Naviglio. Varacalli lo riconosce in fotografia: “E’ il cognato di Pasqualino Marando – dice – . Appartiene alla ‘ndrangheta”. Quindi la rivelazione: “E’ la persona che ha ucciso Pasquale De Marco a Corsico”. Il pentito entra nei particolari: racconta che i due vennero alle mani. In poche parole, Trimboli le prese. Ma tra i due c’era una differenza: De Marco detto u’fanti non era un affiliato, Trimboli sì. E per questo doveva lavare lo sgarbo con l’omicidio. Solo così avrebbe mantenuto l’onore.
Questo racconta Varacalli. Il 24 aprile 2012 Trimboli viene arrestato a Casignana. Su di lui pesano due ordinanze d’arresto, una proprio per l’inchiesta Minotauro. E’ lui, secondo il procuratore Nicola Gratteri, la principale testa di ponte tra la Calabria e il nord Italia. Trafficante di droga, ma anche boss di primo piano che, dopo la scomparsa del suo padrino, Pasquale Marando, ha consolidato la leadership.
Insomma, un boss in carriera, sul cui passato, però, ora si allunga l’ombra inquietante di un omicidio. La vicenda, nel 2009, arriva sul tavolo del capo dell’antimafia milanese Ilda Boccassini. Tra la procura e la caserma di Corsico ci sono contatti informali. Nessuna delega d’indagine. Il caso passa alla sezione omicidi di via Moscova. E alla fine tutto viene assorbito dalla procura di Torino. Milano non riprende a indagare. E la morte di Pasquale De Marco finisce di nuovo in archivio. Fino a ieri e all’arresto di Rocco Trimboli.