I lavori partiranno domani, nel giorno dell'anniversario della tragedia nucleare del 1986. L’impianto sarà presto sormontato da una mega-struttura d’acciaio destinata a coprire ciò che rimane della vecchia installazione sovietica. Uno smantellamento che riguarda anche il vecchio sarcofago deteriorato da buchi e crepe da rischiare il collasso su se stesso
Cent’anni: tanto ci vorrà per smantellare, in sicurezza, la centrale nucleare di Chernobyl a 26 anni dal disastro del 26 aprile 1986. L’impianto sarà presto sormontato da un colossale arco d’acciaio, alto più di cento metri e lungo 150: è la megastruttura destinata a coprire ciò che rimane della vecchia installazione atomica sovietica. Un decommissioning (smantellamento, ndr) che riguarda anche il vecchio sarcofago. Che, costruito frettolosamente e senza nemmeno una bullonatura di sostegno nei mesi dopo l’incidente, è così deteriorato da buchi e crepe da rischiare il collasso su se stesso. Una bomba a orologeria, viste le enormi quantità di radioattività ancora presenti nelle rovine dell’impianto, da disinnescare al più presto. I lavori partiranno domani, 26 aprile, ventiseiesimo anniversario del disastro nucleare. Ma il primo lotto di acciaio da 150 tonnellate, proveniente via treno dall’Italia, è già stato consegnato nelle scorse settimane.
Sono stati necessari dieci anni di valutazioni per superare i mille dubbi tecnici o legati alla mancanza di fondi, ma finalmente si parte. L’enorme arco di acciaio per isolare dall’ambiente circostante la bomba radioattiva di Chernobyl si farà. Un’opera da quasi ottocento milioni di dollari, donati da 29 diversi Paesi riuniti nel Chernobyl shelter fund: il gigantesco “tappo” peserà più di ventimila tonnellate e coprirà la centrale fino a ben 257 metri oltre gli edifici dell’impianto, evitando le pericolosissime infiltrazioni d’acqua piovana. Un’altra soluzione “temporanea”, dicono gli esperti, ma necessaria: le condizioni critiche dell’attuale sarcofago potrebbero infatti far fuoriuscire il restante 95% della radioattività, ancora intrappolata dentro il reattore.
Per ridurre i rischi di contaminazione per gli operai e gli ingegneri del cantiere (impiegati nel minor numero possibile), il maxi-coperchio verrà costruito altrove, trasportato in Ucraina sia su gomma che su ferro ed assemblato a trecento metri dal disastrato reattore numero 4. Una volta montato, verrà applicato sopra l’attuale copertura, facendolo scorrere su enormi rotaie costruite appositamente. Fatto ciò, nell’arco del prossimo secolo si procederà in remoto allo smantellamento sia dell’attuale sarcofago che della centrale stessa. Un lavoro enorme ed estremamente complesso che, secondo le previsioni del consorzio francese Novarka, progettista e costruttore dell’opera, si concluderà entro il primo semestre del 2015.
Questa mega-cupola è un estremo tentativo di sanare la grave ferita nucleare ancora aperta nel cuore d’Europa, e darà più tempo al governo ucraino di trovare un deposito permanente per le 200 tonnellate di uranio e la tonnellata di plutonio ancora contenute all’interno della centrale. Quantità enormi: basti pensare che un solo chilogrammo di plutonio, se inalato, è potenzialmente in grado di uccidere 10 milioni di persone.
“L’incidente di Chernobyl è diverso da Fukushima non solo per la quantità di materiale radioattivo fuoriuscita nell’ambiente (10 volte di più), ma anche perché la parte più pericolosa, il combustibile, è sostanzialmente rimasta sul posto”, ricorda il professor Marco Enrico Ricotti, docente del Politecnico di Milano e membro dell’American nuclear society: “Per Chernobyl non ci sono molte alternative: non è ragionevole pensare di andare a prendere il combustibile fuso per spostarlo da altre parti (in teoria si potrebbe fare, ma con robot e a costi e tempi notevoli), quindi si tratta di realizzare un edificio di contenimento sul posto”.
Un nuovo sarcofago, insomma, che costruito in acciaio invece che solamente in cemento armato può essere montato più facilmente, ma soprattutto “garantire durata, tenuta e schermatura” superiori a quelle attuali. “La soluzione più efficace dal punto di vista dei costi-benefici-sicurezza è quella di portare e costruire un sostanziale ‘schermo’ per le radiazioni e per evitare la diffusione e il contatto con l’ambiente dei materiali radioattivi”, aggiunge l’ingegnere nucleare: “Per le altre zone radioattive si tratta di gestire la costruzione con le dovute accortezze radiologiche: tempi di permanenza e protezioni per gli operatori”.
Inoltre, questa mega-struttura, non sostituendo l’attuale sarcofago, ma integrandolo, “difficilmente diventerà materiale radioattivo – conclude Ricotti – quindi in linea di principio potrebbe essere decontaminata nel caso in cui, fra parecchi decenni, si volesse smantellare il tutto”.