Qualche giorno fa sono andata all’Ufficio Personale del mio posto di lavoro per rinnovare la richiesta di fruizione dei permessi previsti dalla Legge 104/92. Si tratta del diritto di cui gode ogni disabile, o persona che assiste un disabile, di assentarsi dal lavoro per tre giorni al mese.
Quest’anno mi sono trovata di fronte la “Dichiarazione di Responsabilità e Consapevolezza” che diretta discendente del Decreto Brunetta è stata adottata dal Comune di Roma e sottoposta ai dipendenti per la firma.in
In quell’atto la sottoscritta dipendente dichiara “di prestare assistenza nei confronti del disabile per il quale sono chieste le agevolazioni … e di essere consapevole che la possibilità di fruire dei permessi comporta un onere per l’amministrazione e un impegno di spesa pubblica che lo Stato e la collettività sopportano solo per l’effettiva tutela del disabile”
E’ inutile tentare di spiegare cosa ho provato, ma tenterò con le parole di farlo perché tutti capiscano la violenza di una tale frase.
Ho pensato alla sensazione di smarrimento che ho provato quando un oculista ha emesso il verdetto il 31 luglio del 2000 “suo figlio è cieco” e poi mi ha consigliato una bella vacanza rilassante e a settembre si vedrà.
Ho pensato alla solitudine che ho provato quando uscita da quell’ospedale non avevo idea di cosa dovessi fare e non ho trovato nessuno in grado di dirmelo, perché nessuno si è occupato di me.
Ho pensato a quando la psicologa mi ha consigliato di mandare il bambino all’asilo nido per favorire la socializzazione, ma l’asilo vicino casa era andato distrutto in un incendio e i privati di zona mi hanno candidamente risposto “mi dispiace noi non prendiamo bambini disabili”.
Ho pensato agli sforzi che faccio ogni giorno per capire come si insegna la vita ad un bambino che non vede e che a volte crede che il mondo intorno a lui sia troppo difficile per essere vissuto.
Ho pensato a quando ho cercato un centro estivo in grado di accogliere un bambino cieco con disturbi del comportamento e sono stata costretta a prendere l’aspettativa dal lavoro per tutta l’estate, perché nessuno era in grado di gestirlo.
Ho pensato a quando la maestra di matematica della quarta elementare, ignorando anni di studio sull’integrazione scolastica e la ratio della Legge 104, mi ha detto soavemente “io non sono la maestra di suo figlio, lui ha la maestra di sostegno!”
Ho pensato a tutte le volte che mio figlio pesta i meravigliosi bisogni dei cani del quartiere perché i loro padroni non li raccolgono e lui ci spiaccica sopra il bastone bianco.
Ho pensato a tutte quelle persone che con occhietti languidi mi dicono che mio figlio è “poverino” e quando sono più delicati “sfortunato” poi parcheggiano serenamente la macchina sul posto per disabili tanto ci stanno solo due minuti.
Ho pensato…… e pensato ancora a tutte quelle volte in cui mi sono sentita sola in un paese dove essere diverso è un ostacolo e non una risorsa.
Sono uscita dall’ufficio personale in lacrime poi ho abbracciato tutti i miei colleghi ringraziandoli dell’onere che sopportano per me e per mio figlio. Mi piace poter scrivere, però, che tutti loro mi hanno risposto che è un onore e dovere, non un onere, accogliere un bambino come mio figlio.
Così oggi posso dichiarare, con assoluta consapevolezza e assumendone la responsabilità, che forse tanta gente, tra i quali i miei colleghi, è migliore di Brunetta.