La prima giornata dell’edizione 2012 del Festival del Giornalismo restituisce un importante aggiornamento del ruolo di Internet nella costruzione della percezione di ciò che sta accadendo. I social media esistevano anche nelle scorse edizioni, ma il loro impatto nella costruzione collettiva dell’evento non era mai stato così evidente.

Il flusso di aggiornamenti, soprattutto via Twitter, ha composto un tessuto di racconti piuttosto eterogenei: tanti commenti agli eventi, tanti racconti personali dei protagonisti e del pubblico, dei loro viaggi e delle loro aspettative, interazioni tra giornalisti in loco e redazioni e tra singolo utente e i suoi amici.

Questo tessuto costruito in modo inconsapevole dagli utenti amplia tantissimo l’impatto di un evento in termini di riconoscibilità e popolarità. Dalla giornata di oggi emergono tre fattori che appaiono decisivi per il successo mediatico di un evento oggi, a prescindere dal fatto che sia un Festival di giornalismo o una festa di paese: la possibilità che i protagonisti comunichino a prescindere dagli organizzatori, la capacità di suscitare emozioni nei partecipanti, la volontà degli organizzatori di parlare attraverso le voci dei protagonisti, piuttosto che con la propria.

In questo senso è da segnalare una strategia adottata dai responsabili del profilo Twitter ufficiale del Festival, @journalismfest, che ha comunicato più con i retweet dei commenti più interessanti che provenivano dai vari panel, che con una cronaca top-down di ciò che stava accadendo. 

A fine giornata chiunque può leggere i commenti sul festival sul Twitter, basta cercare l’hashtag #ijf12. Anche questa importante opportunità aggiuntiva, significativa in modo proporzionalmente diretto al numero di persone che partecipano a un determinato evento, crea due nuovi fronti di riflessione potenziale.

Il primo riguarda l’esperienza di chi segue eventi del genere dal vivo: è possibile esserci senza essere, cioè è possibile seguire un evento dal vivo e tutti gli altri attraverso i commenti in Rete ed è possibile impattare con i flussi di comunicazione generati attorno a entrambi gli eventi con la stessa semplicità di accesso. Il secondo, invece, riguarda l’esperienza di fruizione di chi non può essere fisicamente presente a un evento: con una tale quantità di materiali prodotto ‘dall’interno’, è sufficiente leggere tutto per avere un’idea perlomeno abbozzata di come sia andato un dibattito.

Se ci si limitasse a questa componente dell’analisi, però, si rischierebbe una riduzione semplicistica e troppo ottimistica. Come cambia l’informazione in tempi in cui tutti possono scrivere, tutti possono essere informati e tutto accade con enorme velocità? Gianni Minà, ospite del Festival, ha affermato con tono quasi beffardo che gli italiani sono probabilmente meno informati di cinquant’anni fa, anche se la quantità di informazioni prodotta è infinitamente superiore.

In secondo luogo, è davvero informazione quella per cui può accadere di leggere lo stesso tweet, magari una citazione di una frase ben riuscita di un relatore, da tante persone diverse? Quando siamo in un luogo in cui ci sono così tante persone che possono ‘dare la notizia’, la sfida di chi informa non è piuttosto quello di dire qualcosa in più, di commentarla, di interpretarla, di mettere in relazione posizioni, fatti e persone, correndo qualche rischio personale ma scrivendo qualcosa di originale, se non addirittura utile?

La sfida è aperta. Ed è una sfida culturale, prima ancora che mediatica o legata all’innovazione delle piattaforme tecnologiche. 

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