Proviamo a mettere insieme due dati di recente pubblicazione: 467.729 sono le organizzazioni non profit che riceveranno in questi mesi il questionario inviato dall’Istat per censire il settore. Nel 2001, data dell’ultimo censimento, erano 235.000. In dieci anni il numero è quasi raddoppiato. Consideriamo pure che alcune di queste sono fantasma, altre magari scomparse di recente (in quanto il numero attuale gestito dall’Istat si basa principalmente su database non sempre aggiornati forniti da altri enti): si tratta comunque di un dato impressionante sulla crescita del settore.
Guarda caso, il termine di paragone è proprio il 2001, anno dell’attacco alle Twin Towers e data cardine del lento declino economico (oramai recessivo) innescato a livello globale. Da quel momento gli Stati hanno deciso di iniettare ingenti risorse pubbliche per sostenere settori economici in crisi (industriali, finanziari etc..), drenando pesantemente – tra gli altri – gli stanziamenti budgetari per i servizi di welfare, con conseguenti riduzioni nella qualità e quantità degli stessi. La società ha reagito organizzandosi autonomamente per riempire questi buchi ed assicurare comunque – ove possibile – quantomeno gli standard minimi di sopravvivenza di molte prestazioni sociali.
Ed arriviamo al secondo dato, altrettanto di impatto: 140 milioni è il numero dei volontari nel mondo che, se considerati congiuntamente, produrrebbero annualmente un Pil (Prodotto Interno Lordo) di 400 miliardi di dollari. Lo dice lo “State of the World’s Volunteerism Report 2011” pubblicato dalle Nazioni Unite. Avete letto bene: 140 milioni, quanto la Russia e più del Giappone, due volte e mezzo la popolazione italiana! Una persona su cinque al mondo svolge attività di volontariato e contribuisce attivamente al progresso socio-economico del pianeta.
Cosa ci trasmettono questi dati, oltre alla dimensione del settore a livello sia italiano che globale? Anzitutto che entrambi i trend sono in ascesa, ad ennesima dimostrazione che il terzo settore radicalizza la propria natura anticiclica (economia in crisi = meno servizi = più iniziativa privata in regime di sussidiarietà). Secondo, che il terzo settore è ormai un global player di primaria importanza, che ha acquisito il diritto ed il dovere di sedersi ai tavoli decisori dove si definiscono le politiche pubbliche non come “invitato speciale senza diritto di voto” – come purtroppo spesso succede ancor oggi nel nostro Paese – ma come pilastro fondamentale di un sistema che, senza di esso, non reggerebbe il peso della domanda di servizi proveniente dai cittadini.
In quale modo il terzo settore debba sedersi a questi tavoli e con quale attitudine, nel prossimo post.