Sono apparsi su questo giornale (e su molti altri) commenti assai critici sulla procedura di valutazione delle Università (VQR: valutazione della qualità della ricerca) da parte dell’agenzia governativa chiamata ANVUR, voluta dal ministro Gelmini e mantenuta dal ministro Profumo. Il difetto principale della VQR è nell’uso previsto dal Ministero: l’attribuzione meritocratica del finanziamento ordinario. Il finanziamento ordinario infatti non è un premio ma una necessità: paga stipendi, manutenzione edilizia, sicurezza degli edifici e altre voci simili. In pratica sottoporre il sistema universitario italiano ad una valutazione finalizzata almeno in alcuni casi a ridurre il finanziamento ordinario significa prevedere la chiusura per fallimento di alcune Università: come se ne avessimo troppe. Ma è questo il caso?
Il Ministero propone una visione elitistica dell’Università, nella quale la qualità scientifica è premessa alla sopravvivenza stessa dell’istituzione; ma l’Università è prima di tutto un servizio che lo Stato offre ai cittadini e produce quei laureati che devono soddisfare le esigenze della cittadinanza nei campi più diversi. Da questo punto di vista il sistema universitario italiano non è affatto sovrabbondante, è anzi scarso, ed il settore professionale sul quale il sistema formativo italiano è più carente è quello infermieristico: basta guardare una qualunque statistica sociale (ad esempio qui o qui) per accorgersi che in Italia sono in servizio circa 5 infermieri ogni 1000 abitanti, tra la metà e i due terzi del valore degli Stati europei nostri vicini (oltre 8 per 1000 in Austria, Germania, Danimarca, Gran Bretagna, etc.).
Non è un allarme nuovo, ed è stato lanciato più volte in varie sedi nazionali ed internazionali (ad esempio qui) . Secondo le stime della Conferenza Permanente dei Presidi delle Facoltà di Medicina, le università italiane formano ogni anno, in collaborazione con le strutture accreditate del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), 5.000 infermieri in meno del fabbisogno nazionale stimato. E’ facile calcolare che per rispondere alle necessità del paese, tenendo conto del tasso di abbandono, le università italiane dovrebbero attivare almeno 70 nuovi corsi di laurea in Infermieristica, di 100 studenti ciascuno. Poiché in Italia ci sono circa 60 università e non tutte hanno i requisiti (ad esempio i Politecnici non hanno docenti medici, policlinici o convenzioni con il SSN) ogni Ateneo che ha i requisiti dovrebbe attivarne almeno due.
Naturalmente la qualità delle Università è importante: una cattiva Università, che produce laureati ignoranti, che non sanno fare il loro mestiere costa allo Stato ed è di danno all’utente. Ma le Università italiane nelle classifiche internazionali sono mediamente piuttosto buone, almeno dal punto di vista della ricerca (si veda ad esempio il sito di Scimago) ed il problema del paese è che sono troppo poche e producono troppo pochi laureati (si veda ad esempio il sito di Eurostat). Il Ministro dell’Università farebbe meglio a preoccuparsi di aumentare il numero delle Università italiane anziché cercare di ridurlo: dopo tutto occupa il suo posto per gestire il sistema, non per distruggerlo.