L'indagine sui rimborsi elettorali è uno stralcio di quella di Reggio Emilia e partita grazie alle rivelazioni di ex appartenenti al Carroccio
L’inchiesta bolognese era partita dall’esposto di un altro ex candidato non eletto alle regionali di due anni fa, Alberto Veronesi cacciato dalla Lega a settembre del 2010 dopo l’arrivo in regione di un commissario straordinario dal nome altisonante: Rosi Mauro. Un primo esposto di Veronesi fu archiviato dalla procura felsinea, ma con il recente clamore dello scandalo partito da Francesco Belsito, gli ex leghisti bolognesi sono tornati alla carica.
E stavolta lo stesso esposto, finito sulla scrivania del sostituto procuratore Morena Plazzi ha già portato in poche settimane a due indagati. Le accuse di Veronesi, che hanno poi portato all’iscrizione di Pasquini e Mambelli, riguardano i rimborsi elettorali. Su presunto suggerimento della tesoriera della Lega nord di via Bellerio, Nadia Dagrada, i candidati sul territorio avrebbero potuto utilizzare un sistema per aggirare la normativa sui rimborsi elettorali denunciando spese inferiori ai 2.500 euro per evitare di dover nominare un mandatario.
Un vero e proprio “taroccamento” dei conti di cui Veronesi nel suo esposto accusa i due ex compagni di partito che sarebbero rimasti al di sotto di quella cifra dichiarando però il falso. Mambelli, in particolare, è colui che durante la campagna elettorale inventò le padanine. Un mega poster appeso ovunque e portato in giro per la città da un furgone pubblicitario, con tre ragazze in magliettina che invitavano a votare per il “Mambo”. Troppo probabilmente per restare al di sotto dentro il tetto dei 2.500 euro.
Intanto, mentre ieri Veronesi è stato sentito anche dai magistrati milanesi che indagano sul Carroccio, le procure di Bologna e Reggio Emilia dovrebbero incontrarsi nei prossimi giorni per coordinare i due filoni emiliani delle indagini.
L’ottico bolognese, Luigi Pasquini, si dice “all’oscuro di tutto”. Lui che è ancora tesserato per il Carroccio spiega, contattato dall’Ansa, di sentirsi “a posto” e di non avere “nulla da nascondere”. Sulle accuse che gli vengono fatte da Veronesi, e che gli sono costate l’iscrizione nel registro degli indagati ricorda, senza entrare nello specifico, di aver ricevuto indicazioni su come comportarsi con i rimborsi da dichiarare: “Andammo tutti insieme noi candidati a Reggio Emilia e lì ci diedero un foglio in cui c’erano le varie opzioni”, a seconda di quanto si spendeva. Lui, assicura, ha sempre fatto “come veniva indicato”. Né ci furono pressioni. “Non capisco – aggiunge – come sia venuto in mente a Veronesi, che io avrò visto tre volte in vita mia, di parlare di me”.