“Largo ai giovani” è il motto preferito dai vecchi che non si scansano. Lo ripetono come una promessa perpetua, quella che allude a uno spazio che non lasceranno se non dopo morti, se non hanno figli ai quali ereditare il posto o amici cari cui ricambiare un favore. E’ l’Italia del vecchio con la mano attorcigliata attorno al testimone, che dice “prendi” ma non molla e tu che passi perdi la giovinezza nell’attesa. Ma il vecchio, soprattutto politico di professione, professionista stimato, notaio, dottore, cattedratico, barone… considera solo un certo tipo di giovane, il cosiddetto “pollo da allevamento”, solitamente un ragazzo brillante, simpatico, che dice sempre sì. Cresciuto nella convinzione di essere un individuo, il pollo da allevamento vive quasi sempre nell’inconsapevolezza di essere finito un ingranaggio.
Per questi ruspanti è garantita la carriera. Ricorrente in questo pollaio di rampanze politiche è la frase “se vuoi cambiare il sistema lo devi cambiare da dentro”, così facendo si giustificano e si conformano, partono con lo slancio dello spaccamonti e spompano nel fiatone del vecchio: entrati nel sistema sono cambiati loro, non il sistema, talmente incancrenito che se ne fai parte ti ammali della stessa malattia di chi l’ha concepito. Ecco, la nostra classe politica e dirigente è questo, una malattia contagiosa ma non incurabile. Provare a starne fuori equivale ad essere identificato come difetto di fabbrica, una minaccia, un errore nella catena di montaggio: c’è il sistema, non esiste alternativa e se c’è… è un difetto da estirpare. Quindi il vecchio continua a gestire la fabbrica come sempre, invecchiando i giovani, trasformandoli in pezzi di ricambio ripetendo “tutti sono utili, nessuno è indispensabile”.
Questa l’ho sentita dire spesso nei miei dodici anni di fabbrica, forse la minaccia preferita dal caporeparto, il terrorismo prediletto per far fuori i non-allineati. Così i voti della politica finiscono per essere patrimonio di chi li ha ricevuti e se l’elettore sgarra e cambia bandiera non è tollerata l’idea che l’elettore possa innamorarsi altrove e altrove trovare una diversità che lo rappresenti.
No. Nella mia città, Parma, il Pd scalda i motori per condannare il M5S che gli “sottrarrà” voti colpevole di ballottaggio. Come se i voti “appartenessero” al Pd, come fossero suoi e non più di chi li vota (nemmeno il PdL si attacca a tanto). Il PD non pensa mai che quei voti li ha già persi perché incapace e come un bambino viziato strilla allo scippo, al furto, al vandalismo elettorale, dà sempre la colpa agli altri. Specie se lo “scippatore” ha finalmente un nome e un volto, a Parma quello di Federico Pizzarotti, quello che non vuole entrare nel sistema. Italia come Parma, il sempre vecchio Pd punta il dito contro la luna e si fissa il dito, unica cosa che ancora gli appartiene. E’ Davide contro Golia e Golia ha una paura del diavolo di questo Federico che vuole “cambiare da fuori”. Anche perché “le cose le cambi da dentro” puoi dirlo solo se sei uno spermatozoo.